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Ma i milioni sicuri sono solo 4: vergogna
17 febbraio 2006

"Va bene il monitoraggio delle aree a rischio nel Palatino: «Strumento utilissimo. E Giorgio Croci è uno studioso di grande livello». Giuste anche le stime della Soprintendenza, quei 130 milioni di euro, in dieci anni, necessari alla salvezza del Colle di Roma: «Cifre corrette». Ma? «Mi pare di capire che siamo sempre al punto nodale. A fronte di urgenti necessità e di previsioni di spesa, di sicuro, per ora, abbiamo quei 4 milioni di euro annui decisi dall'ultima finanziaria. Non per il Palatino, ma per tutte le emergenze archeologiche. Una miserabile vergogna». Parola di Adriano La Regina, ex soprintendente di Stato per i beni archeologici di Roma. «In linea di massima - spiega il professore - sono d'accordo anche con l'idea di una legge nazionale, che in realtà, però, ci sarebbe già. Basterebbe rifinanziare la legge Biasini, con cui lo Stato investì sull'archeologia tramite un piano pluriennale di 20 miliardi di lire l'anno, più un ulteriore stanziamento di 50 miliardi nel 1987. 250 miliardi in tutto. Con quei soldi son state fatte cose straordinarie: acquisizioni, restauri, tutela. Ora c'è da chiedersi se i futuri governi italiani siano disposti a fare altrettanto. La questione è tutta lì». Questione di soldi? «Appunto. Possibile che lo Stato non riesca, o meglio non voglia, trovare 50 milioni di euro ogni anno per cinque anni, pari al costo di un palazzetto nel centro, destinati a salvare i monumenti antichi di Roma? Con una cifra del genere si risolverebbero tutti i problemi. Devo invece constatare che negli ultimi anni, con i finanziamenti, siamo giunti al collasso». Dello stesso avviso l'ex ministro per i Beni Culturali Giovanna Melandri, ds: «Il definanziamento della legge nazionale per l'archeologia, approvata nel 2001, è stato sistematico. Quel provvedimento prevedeva di destinare ai monumenti antichi 17 miliardi di lire il primo anno, poi altri dieci miliardi annui per gli anni successivi. Oggi siamo ai 4 milioni di euro annui. Dunque quelle risorse non solo non sono aumentate, ma addirittura diminuite. Di cosa parliamo allora? Dei risultati di una politica costante di tagli alle risorse, che ci ha fatto ripiombare in una logica emergenziale. Mi chiedo poi quale sia la novità annunciata da Buttiglione. il quale ultimamente ripropone cose note con gesti dal chiaro sapore elettoralistico: fuochi artificiali... Se il Palatino è davvero diventato un malato grave, non saranno certo i pannicelli caldi del ministro a guarirlo. Di sicuro, oggi, ci sono quei 4 milioni di euro annui, che oltretutto non sono destinati solo per il Platino».

Corriere della Sera - cronaca Roma 17/2/2006

 
Tagli, il Comunale chiede aiuto
16 febbraio 2006

"Le opere in cartellone ridotte da otto a sei Ridotto il deficit del teatro, meno opere in cartellone Comunale, appello alla città: «Servono fondi per salvarlo» Deficit ridotto di quasi tre milioni di euro, al prezzo della cancellazione di due titoli della stagione, ma con l'impegno di recuperarne almeno uno. Questo il risultato della riunione del cda del Teatro Comunale di ieri, e per trovare i soldi necessari l'ente fa appello a tutta la città. Singoli cittadini compresi, i quali, suggerisce il sovrintendente Stefano Mazzonis, «potranno devolvere al teatro il 5 per mille delle tasse con la denuncia dei redditi». I tempi, però, sono stretti. «Entro un mese, da qui alla prossima riunione del cda - dice il sindaco Sergio Cofferati, presidente della fondazione lirica — dobbiamo avere la certezza su quanto si può aggiungere al bilancio. Con l'obiettivo di presentare entro giugno il cartellone 2006-2007 con sette opere e l'inaugurazione della stagione a novembre di quest'anno». 11 bilancio approvato all'unanimità infatti, è attestato su un deficit di 4milioni e 500mila euro, ma prevede un totale di sei onere, anziché le solite otto, tutte in programma nel 2007. A meno che, appunto, un capillare lavoro di sensibilizzazione promosso da Cofferati e Mazzonis, che si concretizzerà anche con una lettera aperta, non riesca a favorire nuove entrate.«L'appello — specifica Cofferati — è rivolto agli enti pubblici e ai soggetti privati come Camera di commercio, banche, Fondazioni, e, attraverso le associazioni, a tutte le imprese, perché partecipino ad uno sforzo che garantisca al teatro un futuro stabile, aumentando i contributi. La disponibilità deve essere comunicata immediatamente». E Palazzo D'Accursio? «Dovranno contribuire e fare uno sforzo Regione, Provincia e quindi anche il Comune — risponde il primo cittadino — nei limiti dei rispettivi budget». Intanto, mettono in guardia presidente e sovrintendente, il bilancio col segno meno potrebbe determinare un commissariamento della Fondazione da parte del ministero. «È un rischio politico che affrontiamo — ribadiscono — ma era doveroso presentare un bilancio realistico». Sempre sul fronte nazionale si esprimono attese sul prossimo governo: «Auspichiamo una riforma delle Fondazioni — fa sapere Cofferati — che faciliti l'intervento finanziario dei privati, e un innalzamento del Fus accompagnato da una riorganizzazione dei criteri di assegnazione dei fondi». I sindacati Fials-Cisal, Cgil, Cisl e Uil, da parte loro, si dicono soddisfatti. «Vediamo confermato l'impegno del presidente — sottolinea Beppe Fiorelli della Cgil — ma terremo gli occhi aperti per verificare una gestione trasparente e l'equa suddivisione di eventuali sacrifici». I sindacati, dopo il presidio organizzato ieri, lasceranno sulla facciata del teatro enormi striscioni. Molto più preoccupati lavoratori con contratti stagionali. Spiega Claudio Pit-zalis: «Chi ha contratti di 8 o 9 mesi, ha paura». Per questo, un gruppo di lavoratori ha scritto una lettera aperta alla gestione del teatro e chiede una «chiara organizzazione del lavoro e il rispetto della pianta organica».

Luciana Cavina il Resto del Carlino Bologna 16-FEB-2006

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Soprintendenze pugliesi in tilt
07 febbraio 2006

"I funzionari delle Soprintendenze pugliesi hanno deciso di sospendere tutte le attività sul territorio: sono dunque bloccati gli scavi di emergenza, i sopralluoghi, le verifiche, i contatti e gli incontri con amministratori locali, con imprese impegnate in lavori edili, con i cittadini in attesa di autorizzazioni. "E' evidente la volontà di smantellare il principio costituzionale (art. 9) della difesa e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio", ha affermato in una nota Giuliano Volpe, ordinano di Archeologia tardoantica e direttore del Discum, Dipartimento di Scienze Umane dell'Università di Foggia. "Prosegue senza tregua il lucido e folle disegno di smantellamento definitivo della tutela dei beni culturali italiani - ha aggiunto Volpe -. Il settore della cultura e dei beni culturali vive in questi anni una delle fasi più buie della nostra storia. Si tratta di un duro colpo in particolare per gli organi periferici del ministero per i Beni e le Attività Culturali, le Soprintendenze, ormai ridotte in uno stato agonizzante. Un colpo che rappresenta l'ultima tappa, per ora, di un processo di depotenziamento, come emerge dall'annoso blocco delle assunzioni e del turn over: al momento la metà circa delle Soprintendenze è coperta per reggenza in mancanza di Soprintendenti di ruolo, mentre l'età inedia dei funzionari raggiunge 55 anni".

Corriere del Giorno, 07/02/2006

 
Salvare l'archivio comunale dal degrado
01 febbraio 2006

"Nicosia. Per salvare l'archivio storico del Comune dal degrado, il sindaco Pino Castrogiovanni chiede l'intervento economico della Soprintendenza archivistica per la Sicilia e dell'assessorato regionale Beni culturali. L'archivio storico di qualunque Comune rappresenta il "racconto e la memoria" dei suoi abitanti, ma quello cittadino è da anni in attesa di essere riordinato e sistemato in locali idonei per il pubblico. Attualmente l'Archivio storico è "stipato" nei locali di via Scuole vecchie in attesa di essere inventariato e collocato negli scaffali. Il sindaco chiede un contributo di 105 mila euro da destinare alla disinfestazione, con prodotti specifici per i documenti e poi al lungo lavoro di inventario e riordino degli atti, ma anche per alcune attrezzature di cui dotare i locali e il dipendente addetto all'archivio storico. Il Comune ha presentato la richiesta di contributo sulla base di una recente circolare dell'assessorato regionale, che prevede questi specifici contributi che devono essere spesi in base a precise indicazioni dello stesso assessorato. Inoltre il Comune ha l'obbligo di eseguire la spesa e utilizzare il contributo entro un anno dalla sua concessione e deve impegnare alcuni fondi nel Bilancio. Nella richiesta di finanziamento il sindaco precisa che saranno impegnati 2 mila euro per il riordino dell'archivio e 8 mila per le attrezzature. Per garantire l'apertura al pubblico e la tutela dell'Archivio storico è già stato nominato un dipendente comunale".

Sicilia Enna 01-02-2006

 
Cancellata» la Sovrintendenza i beni archeologici dell'Etruria meridionale
16 dicembre 2005

"E'stata accorpata alla struttura del Lazio. Parroncini: «Decisione penalizzante» «LA Sovrintendenza per i beni archeologici dell'Etruria meridionale, di fatto, non esiste più. È stata accorpata con la Sovrintendenza del Lazio. Un provvedimento, preso dal ministro per i Beni Culturali Rocco Buttiglione, che giudichiamo in maniera del tutto negativa». Lo dichiara il capogruppo dei Ds in consiglio regionale Giuseppe Parroncini. «La Soprintendenza per i beni archeologici dell'Etruria Meridionale - spiega Parroncini - ha da sempre egregiamente tutelato e valorizzato un territorio ed un patrimonio archeologico fortemente connotato presenza dalla etrusca e che proprio per questo richiede una altissima specializzazione nel settore ed impone di concentrare le energie e le professionalità specifiche su un settore del tutto peculiare. Al contrario, la Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, nata nel 1968, si è occupata di territori caratterizzati dalla presenza di numerose popolazioni pre romane e in cui è molto forte la presenza di beni archeologici riferibili all'epoca romana con molti siti che sono fra i più importanti in Italia e persino di rilevanza mondiale, quale Villa Adriana. Il territorio è estesissimo, dall'alta Sabina ai confini con l'Umbria, ad est fino all'Abruzzo ed a sud fino al Garigliano. Nel mondo scientifico, proprio per questo era stato più volte chiesto che fosse a sua volta sdoppiata. Ora il ministro fa esattamente il contrario. Uno schiaffo alla Tuscia, un colpo alla nostra identità culturale, un colpo a un patrimonio di interesse mondiale, che mette in discussione anche lo sviluppo dell'Università, dove si trova l'unica facoltà di conservazione dei Beni culturali del Lazio». «In pieno accordo con l'assessore Rodano - continua Parroncini - la Regione chiederà al governo di tornare su questa decisione, che rappresenta la cartina di tornasole per capire quanto i beni culturali dei nostri territori stiano a cuore a questo governo. È l'ennesima prova, basta guardare ai tagli nella Finanziaria, alla mancanza di manutenzione di siti di valore mondiale, come la Domus Aurea e il Palatino, che della cultura e delle possibilità di sviluppo legate a questo settore, alla destra non interessa niente». personale"

Venerdì 16 dicembre 2005 Il Tempo

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Musei e biblioteche l'orario è a rischio
22 maggio 2005

"Le assunzioni bloccate e i tagli del personale rischiano di ridurre drasticamente gli orari di apertura delle biblioteche, degli archivi e dei musei statali. Un giro di vite denunciato ieri in Piazza Signoria da un presidio di una sessantina di dipendenti che hanno aderito alla manifestazione indetta da Cgil-Cisl e Uil-funzione pubblica, per sollecitare un incontro con Palazzo Vecchio. «La Biblioteca nazionale attualmente ha 240 dipendenti, il 25 per cento in meno di quanto previsto nell'organico, mentre la Maru-celliana sarà costretta a chiudere il sabato e qualche altro pomeriggio perché sono previsti 11 dipendenti in meno» spiega Enzo Feliciani della Uil, sottolineando l'urgenza dell'apertura di un tavolo con l'amministrazione comunale «Doiché ormai al ministero nessuno ci ascolta e tanto meno risponde alle nostre richieste». Anche nei musei statali sono previste riduzioni di orari, «come già accade a Pompei, agli Uffizi, alle biblioteche e all'archivio centrale di Roma — aggiunge Giulietta Oberosler della Cgil — istituti costretti a ridurre servizi e aperture, senza contare gli altri che rischiano infine di chiudere per assenza di personale e mancanza di fondi». Alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, prosegue la denuncia dei dipendenti «non sono state più fatte assunzioni dal 1990 e in base alle previsioni nel 2008 si prevedono metà dei dipendenti attuali, con un organico ridotto a 120 persone». I sindacati: "Colpa dei tagli al personale"

M. Amorevoli la Repubblica Ed. Firenze, 22 maggio 2005

 
Manca spazio all'archivio di Siracusa
16 Novembre 2004

"Non si trovano all'Archivio di Stato tre faldoni riguardanti l'anno 1860 (buste numeri 68, 69 e 70) già Affari diversi del comitato garibaldino della provincia». A denunciarlo è lo studioso di storia patria Ottaviano Perricone, originario di Rosolini, che vive a Roma dove svolge funzioni direttive alla Confagricoltura, autore del libro «Lo sbarco in Sicilia» e di altri studi su fatti storici locali. Perricone per completare una ricerca sul Risorgimento nella Sicilia sud orientale avendo la necessità di leggere alcuni dei documenti contenuti nei faldoni, si è recato nella sede dell'Archivio di Stato di Siracusa ed insieme con i dirigenti e al personale hanno fatto la scoperta di non trovare i fascicoli. Potrebbero essere rimasti, dopo il trasferimento di qualche anno fa, nei vecchi locali assolutamente inidonei: lo scantinato garage dove passerebbero allo scoperto le condutture dell'acqua, del riscaldamento, delle fognature di un edificio a più piani adibito ad abitazioni private. «Dopo alcune ricerche - ha affermato lo studioso - una cortese funzionaria con molta professionalità ha risposto telefonicamente che i faldoni si trovano nei vecchi locali e che sono rimasti lì dopo il trasferimento avvenuto qualche anno fa. A causa di ricorrenti, inevitabili guasti e perdite, già una parte della documentazione archivistica conservata sarebbe andata distrutta. Il resto sarebbe a rischio». 11 fondo archivistico garibaldino, in particolare, necessiterebbe di disinfestazione preliminare e poi, se necessario, di un intervento di restauro, al fine di restituire agli studiosi del nostro Risorgimento e a tutti i cittadini un patrimonio storico. Per questo Perricone ha scritto al sindaco Titti Bufardeci, al presidente della Provincia, Bruno Marziano, ed al ministro dei Beni culturali, segnalando il caso. «È - ha detto lo studioso originario di Rosolini - un'ottima iniziativa quella di fare intervenire i "caschi blu" della cultura italiani per salvaguardare i tesori artistici minacciati dalle guerre, senz'altro da plaudire e sostenere. Ma non bisogna dimenticare l'Italia, in particolare dell'Archivio di Stato siracusano verso il quale il mio atteggiamento è amichevole e collaborativo. Ritengo -conclude Ottaviano Perricone - che i dirigenti ed il personale archivistico di Siracusa, di grande prestigio scientifico e di alta levatura professionale, non siano responsabili di questa situazione, da addebitare semmai a chi ha scelto e destinato ad archivio locali assolutamente inadeguati».

«Non si trovano tre faldoni del 1860» - Giornale della Sicilia, 16 novembre 2004

 
Tagli sconsiderati ai bb.cc.
15 Settembre 2004

"Il 9 luglio scorso il Consiglio dei Ministri approvava il cosiddetto "decreto tagliaspese", a seguito del quale il Ministro Urbani è insorto relativamente - parole sue - ai «tagli sconsiderati che hanno inciso in modo pesante e indiscriminato sui beni culturali». Se persino un berlusconiano di ferro come il nostro ministro dei Beni Culturali è insorto sulla riduzione dei 25% su fondi riservati alle spese per il funzionamento di musei e di siti archeologici, vuoi dire che siamo proprio arrivati alla frutta. L'Italia infatti, sotto il profilo dei beni artistico-culturali non è un Paese come tutti gli altri. La quantità di tesori artistici, patrimonio del nostro paese, arriva a sfiorare quasi i tre quarti di quelli dell'intera umanità. E' intuitiva quindi l'importanza di una politica di conservazione e valorizzazione di questo patrimonio. Per l'economia del nostro paese, per il suo prestigio, l'arte e la cultura rappresentano elementi vitali irrinunciabili. «Il nostro patrimonio artistico è un marchio. Lo si vuole capire o no? (...) La scelta delle priorità non può essere delegata ai tecnici. E' il governo, nella sua collegialità a dover decidere». Con queste parole Urbani, che vede minacciata la sopravvivenza stessa del suo ministero, chiama in causa lo stesso governo e Berlusconi. La durezza dell'intervento del ministro è inusitata e per tutti coloro che tengono alle sorti della rete fittissima dei nostri musei e dei siti archeologici corrisponde a una circostanza inquietante. La minaccia del depauperamento di questo enorme e preziosissimo patrimonio riguarda infatti non solo la nostra cultura, ma anche la fitta rete di interessi e attività turistico-commerciali che ad esso fa riferimento. Nella sua esternazione al Corriere della sera dell'agosto scorso, Urbani ha dichiarato di essere disponibile a attendere fino a dicembre, cioè fino all'approvazione della prossima finanziaria che dovrà decretare una inversione di tendenza. Una volta tanto siamo d'accordo con lui,

Liberazione, 15/09/2004

 
Riduzione Soprintendenza di Modena
Settembre 2004

"La soprintendenza modenese ridotta a uno "sportello", a un ufficio distaccato senza poteri e senza autonomia, dipendente in tutto e per tutto da Bologna. L'allarme è lanciato da Italia Nostra di Modena, che invita le autorità modenesi a scongiurare questo pericolo. «Nonostante e contro le assicurazioni che il sottosegretario Bono aveva dato rispondendo alla interrogazione del senatore Luciano Guerzoni - si legge in una nota del direttivo della sezione modenese dell'associazione - sembra che l'autonomia della Soprintendenza ai beni storici, artistici e etnoantropologici per le province di Modena e Reggio, che ha sede a Modena, debba essere sacrificata, nella nuova organizzazione del ministero per i beni e le attività culturali, alla moltiplicazione delle direzioni generali». «Poiché questa contestabile operazione di potenziamento centralistico è prevista a costo zero (con sacrificio della trama operante della tutela territoriale), ne fa allora le spese anche il ruolo direttivo (la figura stessa del Soprintendente) della nostra Soprintendenza, che diverrebbe, privata della necessaria autonomia, un ufficio periferico ("uno sportello") della Soprintendenza bolognese». «È noto a tutti che la Soprintendenza non è un qualsiasi ufficio burocratico di decentramento amministrativo del ministero centrale, che può essere soppresso o accorpato ad altro ufficio per esigenze finanziarie (cioè di economia di spesa) o organizzative. La Soprintendenza di Modena è un istituto culturale, riconosciuto come tale nel 1939 nel quadro generale di riordino delle soprintendenze, espressione organica di un'area culturale di ben definita identità, entro gli stessi confini dello stato preunitario estense». «La mortificazione della Soprintendenza, con la meccanica aggregazione a Bologna, contraddice per altro i più recenti e responsabili comportamenti del Ministero, che ha inteso invece valorizzarla, dotandola di una prestigiosa ed efficiente nuova sede attraverso l'oneroso acquisto della più preziosa porzione del palazzo Solmi (già Rangoni), con l'impegno dei relativi incipienti restauri». «Italia Nostra invita quindi le amministrazioni rappresentative della città e della provincia ad assumere una ferma iniziativa diretta a contrastare un proposito ispirato a rozze ragioni burocratiche, che offende le esigenze di una viva cultura della "tutela».

Gazzetta di Modena, 14/9/2004

 
Parma: un hotel al posto dell'archivio
Giugno 2004

"C'è davvero una sollevazione degli intellettuali, americani ed europei, di fronte alla paventata chiusura dell'Archivio di Stato di Parma, connessa al restauro dell'Ospedale Vecchio programmato dal Comune. Sono centinaia ormai le firme, in testa quella di Jacques Le Goff che, da Parigi, chiede al sindaco che «il servizio fondamentale offerto dall'Archivio di Stato non venga interrotto e non si preveda lo smembramento dei fondi documentari»; si aggiunge Carlo Pedretti, dalla California, che si dichiara «allibito»; e poi Charles Dempsey da Baltimora, da Milano Giorgio Chittolini e Franco della Peruta, da Torino Massimo Firpo, da Madrid Almudena Perez de Tudela, da Pisa Adriano Prosperi e tantissimi altri. Ma, in realtà, che cosa è accaduto? Da due generazioni si progetta di restaurare l'Ospedale Vecchio, 22.000 metri quadrati, costruito dal '400 all'800,150 metri di facciata, oltre 100 di profondità, enormi corridoi, architetti rinascimentali come Giorgio Edoari da Erba e Bernardino Zaccagni, e ottocenteschi come Nicola Bettoli. Adesso il Comune, con il metodo del project financing, dunque col contributo determinante del privato, decide di intervenire: 10.000 metri saranno destinati ad albergo e a negozi sul filo della via d'Azeglio, asse della città in dirczione di Milano, ma anche tutto il resto sarà restaurato per funzioni pubbliche, a partire dagli inizi del 2005, e in tempi brevi. L'idea del Comune è quella di creare una «Cittadella della carta e del cinema» integrando Biblioteca Civica, parte dell'Archivio di Stato e nuove funzioni, comprese quelle del loisir, e inserendo laboratori per la grafica, la legatoria, il libro e la sua storia e ancora una grande biblioteca internazionale. Ma la bozza di progetto prescelta, per altro passibile di modifiche, prevede interventi pesanti: a piano terra la creazione di un volume entro uno dei cortili, sala di lettura della biblioteca civica; e, ancora, manomissioni gravi dell'ala ottocentesca; tagli assurdi, a falce, nei muri ortogonali dell'ala del '400; persino la creazione di un cinema nella parte nord della crociera e, ancora, soppalchi e inserimenti violenti di strutture di servizio. Le riserve di molti docenti universitari sono nette: «Il riuso come albergo-residence implica modifiche inteme ed esterne inaccettabili» dice Bruno Adorni; «È il frutto di una gara pubblica fra imprese, una cosa triste, l'Italia si sta degradando» dice Guido Canali; «Il progetto non rispetta i caratteri dell'architettura che non è idonea a reggere le funzioni proposte» aggiunge Carlo Quintelli. La Soprintendente ai Beni Ambientali e Architettonici di Bologna Sabina Ferrari, sottolinea che «i progetti devono essere trasmessi per le necessarie approvazioni alla Soprintendenza competente» ma, in precedenza, sulla base di un elaborato simile all'ultimo proposto aveva formulato nette riserve, non sulla fattibilità dell'albergo ma sulle modifiche delle quote pavimentali, sulle controsoffittature, sui tagli delle pareti antiche interne e sui nuovi blocchi edificati all'esterno. Quanto al problema del trasferimento dell'Archivio sfrattato dal primo luglio dal Comune, il direttore Marzio Dall'Acqua ricorda che «qui si conserva la memoria dei Farnese, dei Borbone, di Maria Luigia, abbiamo 40 mila fruitori all'anno e centinaia di studiosi». Il programma sarebbe di trasferire al San Luca degli Eremitani, un convento semifatiscente, l'archivio, ma mancano almeno 10-12 milioni di euro e i tempi di restauro sarebbero lunghissimi. «A Firenze quando hanno trasferito l'archivio non hanno interrotto il servizio per un giorno» sottolinea Roberto Greci, medioevalista. Ma allora che fare per l'Archivio e come intervenire sul progetto? Perché è evidente che l'Ospedale Vecchio, uno dei più antichi d'Europa, fondato 800 anni fa da Rodolfo Tanzi, è un monumento da recuperare; il suo stato di degrado generalizzato è inaccettabile. Il sindaco di Parma, Elvio Ubaldi, ha le idee chiare: «L'ospedale finora è stato una specie di corte dei miracoli, persino pericolosa; fino a poco tempo fa c'erano dei nomadi che accendevano il fuoco al centro delle stanze, mettendo a rischio tutto il complesso. Il Comune non ha i soldi per restaurare il sistema, ma dando alle imprese 6,5 milioni di euro su un totale di 25 di costi e cedendo per trent'anni il solo uso degli spazi per l'albergo e i negozi, il restauro intero si può fare, in tempi brevi, rispettando i caratteri monumentali dell'edificio e ottemperando alle richieste della Soprintendenza e degli storici dell'architettura». Dunque niente tagli, niente manomissioni, niente soppalchi nelle strutture antiche. «La Cittadella della carta—aggiunge Ubaldi—sarà un sistema organico, un percorso alla scoperta della storia della grafica, che a Parma ha profonde ràdici e uri laboratorio per lo studio del documento e del significato che esso ha nella storia. Nessuna interruzione di continuità nel servizio dell'Archivio, offriremo infatti al Convento di San Paolo, accanto agli affreschi del Correggio, in pieno centro, una sede moderna e dignitosa per la consultazione dei materiali e provvederemo a fare sì che l'Archivio non chiuda neppure un giorno. Poi edificheremo, spero, una nuova, funzionale struttura». Ma allora come si presenterà, dopo il restauro, questo complesso sistema? «Dialogo con i turisti, albergo per chi vorrà restare per studiare, polo di interazione fra Biblioteca Civica, Archivio di Stato, la vicina Facoltà di Lettere e Filosofia che fa del documento un nodo della ricerca. Sarà però — dice il sindaco — per gli italiani la scoperta di un grandioso corridoio mal visto e ora in stato di abbandono: lungo 118 metri, largo 12, alto 18, sarà la passeggiata dei visitatori di questa Cittadella della carta, da via d'Aze-glio al Parco Ducale». E sarà una passeggiata imponente, dopo la Pilotta, la più grande struttura farnesiana e poi settecentesca della città. Se tutto 'andrà come assicura il sindaco e il nuovo progetto verrà redatto in modo rispettoso della strutture antiche, allora la rivoluzione urbanistica dell'Oltretorrente, quello delle barricate antifasciste del 1922, la zona architettonicamente meno privilegiata della città, sarà completa. La Cittadella della carta sarà il polo di una enorme crescita dei servizi culturali e un sistema di riferimento nuovo per i turisti, dunque un monumento imponente e bellissimo da aggiungere ai tanti ben noti, ma un monumento vivo, percorso e fruito da tutti. Ultimo: l'Archivio, davvero, non deve chiudere neppure un giorno.

Quattro secoli di architettura Con una superficie di 22 mila metri quadrati, l'Ospedale Vecchio di Parma è uno dei complessi architettonici più grandi e importanti d'Europa. Fondato da Rodolfo Tanzi agli inìzi del '200, fu ricostruito nel '400 e agli inizi del '500 da Giorgio Edoari da Erba e da Bernardino Zaccagni. La grande crociera è opera degli architetti del Palazzo della Pilotta (fine '500- inizi '600). con aggiunte e integrazioni di Nicola Bettoli. Fino al 1923 è stato l'Ospedale di Panna. Ne! secondo dopoguerra è diventato sede, tra l'altro, dell'Archivio di Stato, della Biblioteca Civica.

Arturo Carlo Quintavalle Corriere della Sera 7/6/2004

 
Taglio di fondi per i restauri
Maggio 2004

"In occasione della “Settimana della Cultura” che si svolgerà dal 24 al 30 Maggio 2004,gli Storici dell’Arte della Soprintendenza al Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Bologna, non svolgeranno attività straordinarie rispetto ai normali doveri istituzionali. Si tratta di una protesta per la grave decurtazione dei finanziamenti ministeriali destinati al restauro di opere d’arte presenti sul territorio. Per l’anno 2004 nelle chiese della Diocesi di Bologna, Cesena, Faenza, Ferrara, Forlì, Rimini e Ravenna non sarà possibile effettuare un solo intervento di restauro né completare i restauri già in corso. Il danno provocato da questo taglio di fondi è molto serio. Esso determina un ulteriore degrado del grande Museo Italia, costituito da città, paesi, borghi. La soppressione di un intero capitolo di spesa impedisce alle Soprintendenze l’azione capillare di tutela e conservazione rivolta a chiese piccole o decentrate che possono contare solo sull’intervento statale. Questo accade nelle nostre cinque provincie, come in gran parte del territorio nazionale. Non basta: per il secondo anno consecutivo i tagli di spesa hanno colpito i restauri previsti per i dipinti della Pinacoteca Nazionale di Bologna; la voce di spesa riguardante il catalogo, cioè l’anagrafe del patrimonio storico artistico, risulta quasi soppressa. Come ognuno può controllare consultando il sito del Ministero per i Beni e le attività culturali, nel 2004 rispetto all’anno precedente i tagli ai finanziamenti di restauro di opere d’arte mobili sono, Regione per Regione, i seguenti: decurtazione Basilicata 27% Calabria 40% Campania 28% Emilia Romagna 48% Lazio 20% Liguria 6% Lombardia 10% Marche 33% Molise 9% Piemonte 38% Puglia 21% Sardegna 3% Toscana 18% Umbria 47% Veneto 25% Incremento: Abruzzo 15% Friuli 17%

Comunicato degli storici dell'arte della Soprintendenza di Bologna - maggio 2004

 
Archivio chiuso, tesi di laurea in soffitta
16 aprile 2004

"Giovedì 8 aprile, giorno di santa Giulia, favorevole per rimbalzo o nomastico a nostri musei e alla cultura bresciana in genere, per l'Archivio di Stato, sì è mostrato, invece, nuovamente infausto. Ci ha scritto il nostro notaio, la nostra magnifica "gola profonda", hanno inviato fax ed e-mail studenti universitari, abbiamo parlato con utenti delusi, professionisti, autodidatti mortificati. Ora dovrebbe essere in arrivo una lettera di denuncia inviata al sindaco di Brescia, al prefetto, al presidente della Provincia, al Ministero dei beni culturali, alla Procura della Repubblica. Motivo? L'Archivio è scassato. Da anni continua ad essere scassato, ma non è motivo per assuefarsi. Non c'è bisogno di riassumere le puntate precedenti di questo drammone, atto unico di cento capitoli, titolo, «Come si rovina un Archivio. Storia di una dissipazione bresciana...». Dunque, che i gabinetti fossero stato chiusi all'Archivio per mancanza di carta igienica - ma qualcuno avrebbe potuto procurarla, in attesa di quella bianca che è la più lunga del mondo, consigli preziosi dallo spot televisivo - che il montacarichi si fosse bloccato, aggiustato, ribloccato, aggiustato, che la direttrice fosse stata comandata a Milano e a sostituirla fosse venuta la collega di Cremona, un giorno-maxime due la settimana, che gli utenti della Lombardia e dintorni si fossero trovati le porte chiuse cento volte, per un'indisposizione oppure per un nuovo clamore oppure per una rivendicazione, senza avvertenza, finalmente, si erano detti tutti, il giovedì 8 di santa Giulia, si volta pagina. Parlano i testimoni dell'8 aprile: «L'archivio era superaffollato, una studentessa ha predisposto una lettera dì denuncia contro l'andazzo archivistico. Ampia sottoscrizione. Quindi, subito, è uscita la più bella, anzi il danno più alto: lo sapete che a causa dell'apri e del chiudi, delle impossibili consultazioni archivistiche, diversi studenti universitari bresciani hanno dovuto cambiare il titolo della loro tesi, rimboccarsi le maniche dopo mesi di lavoro, riferire al professore le difficoltà strutturali dell'Archivio di Stato di Brescia e stabilire di accedere ad un altro titolo, ad un'altra tesi la cui elaborazione stesse alle larghe dall'Archivio di Stato di Brescia? La parola d'ordine, tra numerosi laureandi bresciani è stata questa: chiedete una tesi che non abbia nulla da chiedere all'Archivio di Stato di Brescia. Qui, Sasà di Striscia la notizia, prima o dopo, verrà a soggiornare per le ferie e in pochi, all'Archivio, non si cuccheranno un tapirone. Ci chiediamo: per salvare il funzionamento normale del nostro Archivio, dobbiamo buttare in pasto agli italiani tutta la nostra insipienza, dobbiamo sfregiare la città e la provincia bresciana, dobbiamo filmarla in tivù mentre mostra gabinetti, montacarichi, direttori, chiusure a sfarfallo? È ben grave che degli studenti bresciani non possano laurearsi su una tesi per il fatto che l'Archivio di Stato, ricchissimo di notizie, della memoria da mille elefanti, del prestigio solenne di un passato fiorentino, dei fondi famigliari irreperibili da altre parti dell'aristocrazia di almeno 300 anni, non si regga in piedi per distrazioni complessive, per un degrado palleggiato tra parti sociali ed istituzioni. Volete i nomi degli studenti che hanno dovuto cambiare tesi per le chiusure dell'Archivio di Stato? Per la cosiddetta privacy li tratteniamo nel cassetto, ma se proprio ne vorrete sapere di più, li affiggeremo - con il loro consenso - sul palmo delle mani di Arnaldo, Garibaldi, Speri, Moretto, Tartaglia. E sulle mani di Zanardelli, il quale, avendo contatti postumi e liberali con il ministro Urbani, lo sveglierà su questa situazione, A parte l'ironia, non altro che passione - consentitela anche a noi, ogni tanto - non ci pare, tutti insieme, che dovremmo metterci una pezza subito a questo Archìvio che fa acqua da tutte le parti e mostra ormai i segni su faldoni umidi e testi in rischio di malora? Numerose testimonianze del Giovedì Santo dicono che l'Archìvio ha funzionato a ritmo ridotto, consegna di soli 2 pezzi archivistici poiché quasi tutto il personale era in ferie, Archivi decenti prevedono la consegna da 6 a 12 pezzi archivistici al giorno in consultazione. Ultimissima e primissima. Un genitore è venuto a sincerarsi che suo figlio non gli raccontasse stupidaggini. Non gli credeva, non poteva pensare che fosse vera la giustificazione che portava al cambio della tesi: «Papà, devo cambiare tesi di laurea, l'Archivio è quasi sempre chiuso. E' d'accordo anche il mio professore». Il genitore, il Giovedì Santo, è tornato a casa amareggiato, ma rassicurato che il figlio gli avesse riferito una storia vera, tra le più bruttine, ma vera. È tutto, per ora, dalla piovosa trama culturale bresciana in un aprile accidioso.

Tonino Zana Il Giornale di Brescia 16/4/2004

 
"Biblioteche in rivolta: no al ticket"
16 aprile 2004

"Biblioteche in rivolta: no al ticket. Bibliotecari al lavoro vestiti a lutto e scrittori trasformati in bibliotecari per un giorno. Libri a scaffale con strani «prezzi di prestito» appiccicati in copertina e raccolte di firme di protesta. Insomma, se ne vedranno delle belle nelle biblioteche di mezza Europa tra qualche giorno. E a guidare la rivolta per l'Italia è la biblioteca civica di Cologno Monzese. Motivo di tanta mobilitazione? Una direttiva emanata dall'Unione Europea: per ogni prestito effettuato in biblioteca bisognerà riconoscere una «remunerazione» agli autori e agli editori. Insomma, un ticket sul prestito che già altre nazioni hanno applicato con forme diverse: in Germania ad esempio è a carico dello Stato, in Francia è invece ripartita tra biblioteche e governo centrale. L'Italia e altre cinque nazioni finora avevano aggirato la richiesta applicando un articolo della direttiva che prevedeva la possibilità di esonerare alcune istituzioni, ma nei mesi scorsi l'Ue è tornata alla carica e ha concesso due mesi per mettersi in regola. Due mesi che invece i bibliotecari vogliono usare per fare pressione e evita- re che la direttiva venga accolta: «Le biblioteche — spiega Luca Ferrieri, direttore della biblioteca di Cologno — sono già di supporto agli autori e agli editori, senza dover pagare ulteriori ticket: in biblioteca si promuove la lettura, si fanno conoscere i libri, anche quelli lontani dai grandi circuiti editoriali. Se le biblioteche dovessero pagare i ticket, avrebbero meno soldi a disposizione per acquisto di materiale e per iniziative di promozione: tutto il sistema lettura-cultura ne verrebbe danneggiato». La biblioteca di Cologno ha istituito un sito in-ternet (www.nopa-go.org) che ha raccolto quasi 5.000 adesioni, ha creato un comitato di promotori (di cui fanno parte anche i Sistemi Bibliotecari Vimercatese, Nord Est Milano, Milano Est, Nord Ovest) che coordineranno azioni a livello internazionale, ha steso una lettera di protesta da indirizzare al presidente della Commissione europea Romano Prodi. E per il 23 aprile (giornata Unesco del libro e del diritto d'autore) porterà direttamente tra gli scaffali alcuni autori.

Leila Codecasa Corriere della Sera - cronaca Milano 16/4/2004

 
"Beni mobili" al saccheggio privato
31 ottobre 2003

"Urne etrusche, vasi romani, statue, quadri in tela, tavoli, disegni, argenti, porcellane, mobili, documenti storici, lettere autografe di Machiavelli o Lorenzo de' Medici: nell'articolo 27 del decretone blindato con la fiducia e approvato ieri al Senato, si chiamano «beni mobili» e sono il nuovo tesoro collettivo che Tremonti ha deciso di trasformare in soldi per le sue casse. Per ora, con un elemento di tracotanza in meno, rispetto alla dismissione dei «beni immobili», cioè palazzi, castelli, conventi, aree boschive: per i beni mobili, infatti, non si prevede la formula del «silenzio-assenso» prevista nel medesimo articolo 27 per gli immobili. È quella formula che segna il capitolo finale della vicenda cominciata con Patrimonio s.p.a., e per cui se le stremate Sovrintendenze non riusciranno a produrre in centoventi giorni una perizia che indichi il valore storico-artistico-culturale del bene che il Tesoro vuole papparsi, il bene potrà automaticamente essere messo in vendita. (Ma anche sui centoventi giorni, naturalmente, c'è il trucco: in realtà sono novanta, i primi trenta sono quelli in cui l'Agenzia dei Demanio, creatura del Tesoro, produci la lista dei beni che intende alienare, con relativa scheda descrittiva). Ora, il ministro Urbani va in giro dichiarando che ha salvato i gioielli di famiglia. Già, si venderanno quadri e statue solo se le Sovrintendenze, rispettando i proprì tempi, diranno, che si può. Ma questo basta a difendere dalle insidie questa nuova fetta del nostri patrimonio pubblico? Perché, che l'idea sia quella di vendere, è chiaro, sennò perché Tremonti i «beni mobili» li avrebbe voluti iscrivere nel decretone? E perché sarebbe stato cassato l'emendamento dell'opposizione che chiedeva semplicemente di cancellare quell'aggettivo, «mobili»? Le avvisaglie, d'altronde, c'erano state già nei mesi scorsi: alcuni sovrintendenti, da quando s'è messa in moto la macchina di dismissione dei beni immobili, hanno provato a capire se in vendita vanno anche gli arredi che contengono. A Napoli, poniamo, il convento dei Girolamini contiene una delle più famose biblioteche del mondo, con manoscritti musicali dì importanza eccezionale, e una quadreria con tele di Guido Reni; ci sono complessi monumentali (mettiamo a Roma Costei Sant'Angelo) che custodiscono tesori archeologia. Ma dal Ministero dei Beni Culturali in questi mesi non è arrivata nessuna risposta. Nicola Spinosa, sovrintendente del Polo Museale di Napoli una delle soprintendenze speciali insieme a Venezia e Firenze, nate con decreto del gennaio 2002 ~ analizza: «Non mi risulta che in nessun altro paese europeo si sia posto il problema di vendere beni mobili o immobili di valore culturale. Né la Spagna, né la liberalissima Olanda. Ci si rifa al modello americano, ma bisognerebbe dire che i musei degli Stati Uniti, sì, a volte vendono o scambiano i proprì pezzi, ma loro non espongono la storia propria: espongono quadri italiani o fiamminghi, e questi, sì, talora sono disposti a venderli. Un Andy Warhol che è un pezzo di civiltà loro, non lo venderanno mai». Ma qual è il patrimonio che da ieri è entrato in area a rischio? «A rischio gravissimo sono, anzitutto, i musei archeologici» chiarisce Spinosa. «Perché nei loro depositi sono custoditi migliaia di reperti che non sono beni unici, sono frutto dì quella che possiamo chiamare industria, per esempio le migliaia di cimeli funerari trovati in tombe e necropoli». Si tratta, cioè, chiarisce, di pezzi singolarmente umili, ma millenari, e che nel loro complesso, e nel contesto in cui sono stati ritrovati, sono la testimonianza della nostra civiltà. Pezzi, proprio per queste caratteristiche, custoditi nei depositi anziché essere esposti, ora a rischio di finire nelle sale di qualche museo americano o nel salotto di qualche miliardario collezionista. Perché, come per i beni immobili, anche di valore storico-artistico-culturale, trasformati in denaro potenziale con la legge istitutiva di Patrimonio s.p.a., si capisce che l'obiettivo non è vendere il David di Michelangelo (come non è vendere la Fontana di Trevi) ma è il resto: ciò che è più celato, più in retrovia. Quel patrimonio minore diffuso sul territorio e stratificato nei millenni che, spiega Spinosa, e qui evoca gli studi ai Federico Zeri, costituisce l'identità italiana. L'obiezione dell'uomo della strada è questa: ma se questi tesori sono custoditi nei depositi e non visìbili, a cosa servono? «Allora dovremmo bruciare tutti i documenti d'archivio» commenta caustico il sovrintendente. D'altronde, se molta roba è custodita nei depositi, o comunque, se sparsa sul territorio, è ancora non schedata, atte spalle ci sono problemi cronici: mancano spazi espositivi, la cosiddetta «scheda OA», di cui et sì serve, è così compli- cata che un addetto riesce a schedare un massimo di sei oggetti al mese, mentre le sovrintendenze sono allo stremo per mancanza di soldi e di personale (i concorsi per il personale ausiliario sono fermi da dieci anni). E dunque è un 'eccezione il Poh museale partenopeo, che sotto la gestione Spinosa è arrivato a schedare ed esporre il 95% dei proprì beni. Ora, il sovrintendente napoletano ha usato una parola, «archivi», che evoca un altro fronte: gli archivi di Stato. Uno per ogni capoluogo di provincia, sono i «depositi» in cui è custodita la nostra memoria pubblica. Con vincoli, in teorìa, anche maggiori di quelli che tutelano altri beni: documenti e archivi sono del demanio, gli archivi sono considerati «universitas rerum» e non possono essere smembrati e, per statuto, non dipendono neppure dalle sovrìntendenze archivistiche regionali, che hanno competenza solo sugli archivi privati del territorio. Quello di Firenze, per esempio, quali tesori contiene? chiediamo alla professoressa Rosaria Mannu Tolu, che lo dirige. «Conserviamo documenti dal 726 dopo Cristo, tutta la documentazione prodotta da magistrati e uffici che hanno esercitato il governo su Firenze e poi sulla Toscana nei secoli, più gli archìvi delle grandi famiglie, più gli archivi delle arti» spiega. Sicché nel palazzo di via Giovine Italia (tra gli edifici pubblici candidati dia vendita da Tremonti...) ci sono lettere autografe di Machiavelli, Lorenzo il Magnifico, Michelangelo, Botticelli, Leonardo, i conti correnti del Buonarroti al Banco di Santa Maria Nuova, le carte del governo dei Medici e di quello lorenese. Piacerebbero a qualche università statunitense? Piacerebbero a qualche collezionista? «Considero inaccettabile, irreale, l'ipotesi che s'intenda vendere questi beni. Non credo che possano attentare all'identità italiana» respinge l'idea la custode di questi beni. Ed evoca quella parola, «demanio», che fin qui, nell'Italia dell'ultimo secolo, aveva significato l'assoluta garanzia. Non fosse che nell'Italia di Tremonti è un'altra quella che ha preso corso: «sdemanializzazione». Via accelerata alla vendita. "

Maria Serena Palieri L’Unità 31-OTT-2003

 
S.O.S. archivi e biblioteche
14 ottobre 2003

Il taglio dei fondi da parte del Governo mette in ginocchio i Beni Culturali: rischio chiusura e allarme per i lavoratori. Siamo al collasso per il settore degli Archivi e delle Biblioteche. Il Governo continua inesorabile a tagliare i fondi: “ Tagli ai fondi, musei in bolletta” riportava in prima pagina La Repubblica del 13 ottobre 2003. E ancora “Vento di crisi nei musei italiani a causa dei tagli imposti dal Tesoro. A due anni e mezzo dall’insediamento ai Beni Culturali del ministro Urbani, Soprintendenze, archivi e biblioteche non sanno più come arrivare a fine mese”. La situazione è aggravata dalla nuova Riforma del Ministero, approvata dal Consiglio dei Ministri, che ha cancellato il dipartimento riservato agli Archivi e alle Biblioteche le cui direzioni sono state accorpate nel dipartimento delle antichità, le belle arti e il paesaggio. In questo contesto di forte ridimensionamento degli archivi e delle biblioteche, in cui vengono tagliati anche quei fondi necessari a garantire lo svolgimento delle pulizie o il pagamento delle bollette, in data 3 luglio 2003 è stato sottoscritto un accordo tra Amministrazione e OO. SS. (CGIL–CISL–UIL–FLP–UNSA esclusa la sola RdB) con il quale viene disciplinata per l’anno in corso la materia delle turnazioni del personale. Questo accordo recita che “la contrattazione nazionale assegna a ciascun Istituto un budget di Sede, corrispondente a quello assegnato per l’anno 2000, per la remunerazione delle posizioni di lavoro al personale impiegato nelle turnazioni” quindi “la contrattazione decentrata di Istituto determinerà le modalità con cui organizzare le turnazioni tenuto conto del budget assegnato”. Con l’accordo del 3 luglio 2003 vengono tagliate le indennità di turnazione che sforano il budget di sede assegnato e si stabilisce che i lavoratori debbano comunque garantire l’orario di servizio senza pretendere in cambio la retribuzione prevista dal contratto. Nel corso degli anni ci siamo abituati alle varie nefandezze sindacali imposteci da CGIL, CISL, UIL- come l’ultimo contratto nazionale che segna un ulteriore pesante attacco al potere d’acquisto delle nostre retribuzioni, mai cadute così in basso - ma francamente sottoscrivere un accordo in cui si pretende che i lavoratori garantiscano comunque la propria prestazione lavorativa senza alcun compenso economico non è degno di una organizzazione sindacale, neanche la più corporativa. Questo è stato uno dei motivi determinanti che hanno costretto alle dimissioni dalla RSU dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma - in accordo con i propri elettori – due delegati sindacali eletti nelle liste della RdB, avendo constatato che gli altri delegati eletti nella RSU, facenti riferimento alle sigle sindacali firmatarie di quell’accordo, usavano la RSU stessa, di concerto con l’Amministrazione, per convincere i lavoratori ad accettare il taglio delle indennità. Ai lavoratori è stato minacciato che sarebbe stata sospesa loro la remunerazione per i progetti di “apertura prolungata” e di “produttività ed efficienza” nel caso in cui si fosse arrivati alla chiusura pomeridiana dell’Istituto. Queste sono state le argomentazioni rese in assemblea dai rappresentanti territoriali della CISL e della UIL. Una vergogna! Un vero e proprio ricatto! Siamo dunque di fronte a tre ordini di questioni:

1. La riforma del ministero che smantella il dipartimento degli Archivi e Biblioteche;

2. Il drastico taglio dei fondi da parte del Governo con cui si rischia il vero e proprio collasso del settore e la conseguente chiusura di molti Istituti Statali;

3. L’accordo del 3 luglio 2003 siglato da tutte le OO.SS. ad esclusione della RdB, utilizzato da Amministrazioni e sindacati concertativi per imporre ai lavoratori di garantire i servizi pomeridiani senza percepire in cambio alcuna retribuzione.

Non c’è più un minuto da perdere! Facciamo appello a tutte le lavoratrici e ai lavoratori degli Archivi e delle Biblioteche affinché si costruisca in tutto il Paese una forte risposta dal basso in difesa dei nostri posti di lavoro, per ottenere il pagamento delle turnazioni prestate, per salvare l’immenso patrimonio culturale statale da una miope politica fatta di tagli e dismissioni del nostro patrimonio Sarà necessario giungere ad una riunione nazionale: chiediamo ai lavoratori, anche singoli, ai delegati RSU di ogni Archivio e Biblioteca di aderire al presente appello -telefonando al contatto riportato in basso - e di dare la disponibilità per costruire una “rete nazionale di lavoratori e RSU in difesa dei beni culturali”. Facciamo circolare il presente appello nazionale in tutta Italia, presso tutti gli Archivi, le Biblioteche, i musei statali, gli organi di stampa, le Istituzioni, per arrivare al più presto ad uno o più momenti di mobilitazione, senza escludere lo sciopero nazionale del settore. Roma, 14 ottobre 2003 I lavoratori dell’Archivio Centrale di Stato di Roma Contatti Tel: Maurizio Roberto 654548490

RdB Coordinamento Nazionale Beni Culturali 2003-10-14

 
Archivi in bolletta
27 giugno 2003

Alla soprintendenza archivistica della Toscana i telefoni non squillano più. La soprintendente Paola Benigni ha disdetto il contratto telefonico: i fondi non bastano. Sempre a Firenze, all'archivio provinciale dove sono custoditi papiri del VI secolo, i dipendenti alzano ancora la cornetta, ma devono districarsi tra le ragnatele: i tagli hanno colpito le imprese di pulizia. Le 20 soprintendenze regionali e i cento e più archivi provinciali sono sul lastrico. I tagli ai fondi del ministero dei Beni culturali retto da Giuliano Urbani sono cominciati nel 2000. Nel 2003, in alcuni istituti sono arrivati al 60 per cento rispetto a tre anni prima. «Secondo la Corte dei conti, i dirigenti degli archivi sono responsabili delle spese non autorizzate. E si può andare fuori budget solo per motivi di ordine pubblico: non è il nostro caso», dice Benigni. Ma la soprintendente con i fondi a disposizione non può assicurare la vigilanza sugli archivi che le assegna la legge. In alcune sedi si risparmia tenendo l'aria condizionata al minimo, misura che, oltretutto, può causare danni ad antichi manoscritti. "Il prossimo inverno non avrò i soldi per pagare il riscaldamento. Per il telefono non arriverò alla fine dell'anno», rincara Daniela Ferrari, direttrice dell'archivio di Mantova. Anche i fondi per gli investimenti si sono ridotti. A Mantova hanno messo gli impianti per l'aria condizionata, ma costa troppo farli funzionare. I dirigenti degli archivi hanno calcolato che servirebbe un modesto finanziamento: 4 milioni per le spese correnti, altri 8 per gli investimenti più urgenti. Urbani per ora ha promesso solo 900 mila euro. E gli archivisti minacciano la serrata.

'Espresso 27/6/2003

 
L'Archivio storico cerca sponsor
26 giugno 2003

«Pure il sapone e la carta igienica ci hanno tolto! Solo una risposta potevo dare agli studiosi che ogni mattina bussano alle porte dell'Archivio di Stato di Brescia: arrangiatevi». La dottoressa Laura Bezzi è troppo schiva e ben educata per arrabbiarsi. Con un filo di voce racconta gli ultimi 23 anni della sua vita passati a spulciare gli archivi storici delle famiglie nobiliari bresciane, quelle che dal 1300 in poi fecero la fortuna della Repubblica Serenissima di Venezia. Nobili, colti, amanti delle arti e della musica e pure armieri. Mai la dottoressa Bezzi, promossa direttrice dell'Archivio dieci anni fa, avrebbe immaginato che il ministero dei Beni culturali le avrebbe tagliato i fondi per la gestione ordinaria. Racconta: «Da un giorno all'altro hanno dimezzato il budget annuale. Da 40mila a 21mila euro. Ho scritto, telefonato, preteso chiarimenti: non c'è stato niente da fare. L'altro giorno ho preso ramazza e paletta e ho spazzato il mio ufficio e le sale studio del secondo piano. La ditta delle pulizie? Liquidati pure loro, non posso più pagarli. Adesso cerco qualcuno che venga a fare le pulizie due ore a settimana». Brescia non è un più sfortunata di altre città. Le sforbiciate romane ai bilanci colpiscono tutti gli Archivi di Stato, e non solo quelli. La Bezzi si è ritrovata in prima linea suo malgrado. L'Archivio bresciano è prestigioso, «21 chilometri lineari di documenti — scandisce orgogliosa — la seconda raccolta di tutta la Lombardia dopo Milano». Troppo prestigioso per precipitare al di sotto della soglia di sopravvivenza. Un mese fa sono andati in tilt anche l'ascensore e il montacarichi, La manutenzione, in quel caso, spettava alla Provincia di Brescia, proprietaria dell'immobile. I dipendenti dell'Archivio non ci hanno pensato su. E in attesa che fossero riparati, hanno centellinato per un mese e mezzo i documenti chiesti da studiosi e laureandi. «I professori chiedevano quattro reperti? Noi gliene davamo uno solo», dice Giuseppe Di Fraia, il rappresentante della Cgil nella Rsu. Una situazione che ha alimentato qualche frizione con i vertici della Provincia: «II nostro intervento non è stato tempestivo perché la direttrice non ha mai individuato la ditta che avrebbe dovuto occuparsi dei controlli periodici agli ascensori», replica l'addetta stampa del presidente Alberto Cavalli. Ora la dottoressa Bezzi si è messa alla ricerca di uno sponsor privato: «Qui c'è la memoria storica di Brescia: dall'archivio Zanardelli al catasto napoleonico e austriaco. Questa è una città molto ricca, possibile che non ci sia nessuno disposto ad aiutarci?».

Mariano Maugeri Il Sole 24 ore 26/6/2003

 
Archivi, il caso in parlamento
24 giugno 2003

Archivio, il caso in Parlamento m.te. II caso dell'Archivio di Stato di Broscia, sull'orlo del collasso per mancanza di fondi, sta per rimbalzare in Parlamento. A rilanciare il problema di un istituto culturale essenziale che non ha più i soldi per pagare bollette telefoniche, tassa dei rifiuti e manutenzioni essenziali, è stato l'altro giorno Bresciaoggi. Dalle nostre colonne la direttrice, la dottoressa Luisa Bezzi, aveva descritto la situazione kafkiana in cui una funzionaria dello Stato è costretta a dibattersi. Ora promette di sollevare nuovamente a livello romano questo problema il deputato dei ds Franco Tolotti. Che, per la verità, insieme a numerosi colleghi aveva già posto la questione nel marzo scorso attraverso un'interrogazione a cui aveva dato risposta il sottosegretario ai Beni culturali, Maurizio Pescante. Allora (era il 26 marzo) Pescante in commissione aveva assicurato che i piani di spesa sarebbero diventati «operativi in tempi brevissimi». Quanto ai problemi posti dall'obbligo, per tutte le amministrazioni, di approvvigionarsi per ogni fornitura e servizio presso la Consip Spa, Pescante aveva dato conto della disponibilità del ministero dell'Economia «ad un incontro per discutere le problematiche inerenti il Sistema delle convenzioni». Ma siccome, a distanza di quasi tre mesi, nulla è cambiato e anzi i problemi dell'archivio di via Galilei (come di altri 140 istituti «gemelli» sparsi in Italia) sono diventati esplosivi, Tolotti annuncia nuove mosse m Parlamento e presso i ministeri. «Già in marzo - spiega il deputato - la risposta del sottosegretario non aveva fatto che confermare la gravita della situazione. I Piani di spesa a marzo non erano ancora pronti, e le disponibilità poi assicurate ai vari archivi sono state largamente inferiori alle necessità per garantire un servizio adeguato all'utenza». Ma c'è un secondo problema, posto dalla dottoressa Bezzi e dalla stessa interrogazione parlamentare di marzo, su cui Tolotti si sofferma: è l'obbligo, a cui sono ormai tenute tutte le amministrazioni periferiche dello Stato, di rivolgersi alla Consip Spa nazionale per ogni tipo di fornitura (dai grandi contratti alla semplice cancelleria). Una misura che sta letteralmente «strangolando» numerosi fornitori periferici e che - secondo il deputato diessino -non sta offrendo risultati confortanti sul piano del risparmio. «Anche su questo problema - insiste il deputato diessino - il sottosegretario Pescante s'era fatto portavoce di una disponibilità generica, alla quale non è dato sapere se sia seguito qualcosa di concreto. L'obbligo di ricorrere alla Consip aggrava la già difficile situazione finanziaria degli istituti archivistici: questo obbligo comporta tempi più lunghi e contratti più onerosi, smascherando tra l'altro l'atteggiamento ottusamente centralistico di questo governo». Contro la funzione ac-centratrice e totalizzante di Consip Spa, peraltro, è ormai nato un vero e proprio movimento d'opinione, con tanto di sito internet (www.controconsip.it).

Bresciaoggi 24/6/2003

 
L'Archivio di Stato al collasso
23 giugno 2003

In un Paese in cui i poliziotti restano a piedi perché il ministero non ha i soldi per far riparare le Volanti, ci si può aspettare di tutto. E può apparire persino «normale» che un Archivio di Stato rischi di vedersi pignorare computer e scrivanie per mancato pagamento della tassa dei rifiuti e delle bollette telefoniche, o si ritrovi senza i soldi per pagare la pulizia di uffici e servizi igienici, la vigilanza, la manutenzione di ascensori e sistemi anticendio. Esattamente questa è la «normalità» - un po' kafkiana e un po' borbonica - in cui si dibatte da mesi l'Archivio di Stato di via Galilei dove la mannaia di Tremonti ha ridotto di colpo da 75mila a 21 mila gli euro per le spese d'ufficio. Che significano, appunto, pulizia dei gabinetti o possibilità di spedire un fax. A governare la navicella, pericolosamente sbattuta fra i tagli delle finanze pubbliche, è la dottoressa Luisa Bezzi: archivista approdata 23 anni fa in via Galilei, da 10 dirigente dell'istituto, da 1 anno costretta a camminare sul filo del rasoio di una gestione avventurosa. «La nostra situazione - spiega - rispecchia esattamente , quel che succede in tutti gli altri 140 archivi di Stato sparsi in Italia. Al punto che ci si chiede se i nostri istituti avranno un futuro o saranno chiusi». In via Galilei lavorano oggi 14 persone (la dottoressa Bezzi è l'unica archivista): all'appello, in una pianta organica di 17 elementi, mancano due archivisti e un segretario. La sede, di proprietà della Provincia, è stata inaugurata nel 1962 e ospita un numero incalcolabile di documenti, mappe e faldoni distribuiti lungo 22 chilometri di scaffali e 7 piani. «La carenza di personale, specie in Italia del Nord -sottolinea la direttrice - dura da una quindicina d'anni. Ma quest'anno la situazione è diventata esplosiva: il ministero ha tagliato del 60 per cento gli accrediti per ogni capitolo di spesa». Fuori budget, così, sono finite voci come la tassa sui rifiuti (6mila euro nel 2002), le pulizie, la sorveglianza. La direttrice ha bussato al ministero di competenza, quello dei Beni culturali: «Mi hanno risposto che non c'è niente da fare, hanno tagliato anche da loro» . Nel denunciare «il tracollo che c'è stato negli ultimi anni», la direttrice sottolinea un'aggravante: «Per tutti i servizi, da quest'anno, siamo tenuti a rivolgerci a un global service nazionale, che però ha un problema: prezzi mediamente superiori rispetto a quelli offerti dalle società locali». Le economie, ormai, sono all'osso: «Non ho i soldi per pagare le bollette: i telefoni li usiamo solo per ricevere chiamate. Ho disdetto persino la manutenzione del centralino, vecchissimo. Spero non si rompa». Oggi l'apertura della sala-studio è garantita dal lunedì al venerdì, dalle 8,05 alle 15,05. Ma alle spalle l'Archivio di Stato bresciano ha due mesi di chiusura: «S'era scoperto - spiega la direttrice - che l'ascensore e il montacarichi aveyano bisogno della sostituzione di alcuni pezzi. L'ascensore è ripartito il 27 maggio, e da allora la sala studio è riaperta. Il montacarichi dovrebbe essere pronto questa settimana: non funzionando quello, che raggiunge i depositi dal 2° al 5° piano, abbiamo limitato la consegna agli utenti di un pezzo al giorno, con l'obbligo di prenotazione per i giorni successivi». Un bel disagio per chi, spesso, è costretto a lavorare sulla «quantità» dei documenti scartabellati. Per sopperire alle carenze, la direttrice si sobbarca spese in proprio: «Uso sempre il mio telefonino per esigenze di servizio. L'anno scorso, con la mia auto, ho fatto mille chilometri, non rimborsati, per salvare e trasportare in sede l'archivio delle preture di Chiari e Orzinuovi: un gioiello». L'Archivio è un servizio essenziale per una provincia come la nostra, tant'è che il ministero ha varato un progetto per ricavare la nuova sede nell'ex caserma Ottayiani. Si tratta di un investimento da alcuni milioni di euro, provenienti dalla quota lotto, il rischio è che al traguardo della nuova sede, fra 5-6 anni, il servizio attuale arrivi sfiancato. O chiuso. Luisa Bezzi nel frattempo ha bussato a tutte le porte, private e pubbliche, «il ministero ci incoraggia a trovare sponsor, ma non è facile. Ho esposto la situazione a prefetto, sindaco e presidente della Provincia, n prefetto s'è già mosso, il sindaco mi ha promesso di interessarsi, il presidente della Provincia non mi ha ancora risposto». E nel frattempo? «Cosa vuole - dice Luisa Bezzi esausta - ogni giorno si lavora di fantasia, per tirare avanti.

Massimo Tedeschi Brescia Oggi 23/6/2003

 
 
Drastici tagli alle spese
31 marzo 2003
 
Trasmettiamo il testo del documento S.O.S. PER GLI ARCHIVI, che i Direttori degli Archivi di Stato di Firenze, Lucca, Siena, Pisa, Massa, Prato, Pistoia, Grosseto, Livorno, Arezzo, Milano, Mantova, Torino, i Soprintendenti archivistici di Toscana, Piemonte, Puglia, Lazio, e l'Associazione Nazionale Archivistica Italiana, hanno inviato all'On. Bono, Sottosegretario di Stato del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la richiesta di un incontro sulla drammatica situazione, determinata dai drastici tagli alle spese, nella quale si trovano gli istituti archivistici dipendenti dal Ministero per i BB. e le AA. CC., che potrebbe portare, fin dalle prossime settimane, alla chiusura degli istituti e alla interruzione totale dell'attività di conservazione,di vigilanza e di tutela del patrimonio archivistico nazionale, pubblico e privato.
 
Su questa situazione, ormai probabilmente nota a tutti gli iscritti alla lista archivi 23, si terrà in Toscana una conferenza stampa, per il 9 aprile, alle ore 12, presso l'Archivio di Stato di Firenze, viale Giovine Italia n. 6 (con giornalisti della stampa e della televisione, docenti universitari, l'ANAI, esponenti politici e sindacali),ed una giornata di "oscuramento degli Archivi e delle Soprintendenze"(spengendo le luci dalle ore 10 alle 12), con l'intento di informare gli utenti del grave rischio di paralisi e di chiusura degli Istituti archivistici. Tutti coloro che volessero aderire al documento possono inviare mail agli indirizzi dell'Archivio di Stato di Firenze (asfi@archiviodistato.firenze.it) e della Soprintendenza Archivistica per la Toscana (archivistica.firenze@tin.it).
 
SOS per gli Archivi
Testo dell'appello

"Drastici tagli alle spese hanno colpito in tutta Italia gli istituti archivistici - Archivi di Stato e Soprintendenze archivistiche – dipendenti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Le riduzioni, che interessano soprattutto i capitoli di funzionamento,oscillano tra il 40 e il 60 % del fabbisogno, determinato dagli effettivi consumi di energia elettrica, gas metano, acqua, pulizia locali, tassa di nettezza urbana, manutenzione ordinaria degli impianti. Esse porteranno entro pochi mesi alla totale paralisi di tutte le attività istituzionali,ivi compresa l'erogazione dei servizi al pubblico. Sono in pericolo, quindi, le funzioni di tutela, di conservazione e di comunicazione della memoria storica, pubblica e privata, nelle sue straordinarie e molteplici articolazioni: dagli archivi delle persone,delle famiglie, delle comunità locali, fino a quelli delle istituzioni pubbliche e statali. Questa memoria, che costituisce il fondamento dell'identità nazionale, copre un arco cronologico ultramillenario che va, senza interruzioni, dal Medioevo ai giorni nostri e per essa il nostro Paese è famoso e ammirato nel mondo. Una vasta platea di utenti italiani e stranieri studenti, ricercatori, professionisti, storici, cittadini trova negli istituti archivistici indispensabili strumenti di lavoro e di conoscenza. Gli archivi, d' altra parte, sono essenziali anche per assicurare la conoscenza storica e quindi la tutela di tutti gli altri beni culturali, da quelli archeologici, a quelli librari, architettonici e artistici. La sorte di questo patrimonio documentario di inestimabile valore è ora in pericolo!!I responsabili degli Archivi di Stato e delle Soprintendenze Archivistiche,certi che si possa e si debba assicurare la continuità delle fondamentali funzioni di conservazione e di tutela svolte da questi Istituti, denunciano la gravità della situazione al Ministro e ai competenti organi del Ministero, affinché vi pongano rapidamente rimedio; diversamente, la chiusura degli istituti archivistici sarà di fatto inevitabile."

31 marzo 2003 STEFANO VITALI, Archivio di Stato di Firenze, Viale Giovine Italia, 650100 FIRENZE tel.: +39 05526320249 fax: +39 0552341159 e-mail: s_vitali@archiviodistato.firenze.it o

 

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