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Ma
i milioni sicuri sono solo 4: vergogna |
17
febbraio 2006 |
"Va
bene il monitoraggio delle aree a rischio nel Palatino: «Strumento
utilissimo. E Giorgio Croci è uno studioso di grande livello».
Giuste anche le stime della Soprintendenza, quei 130 milioni di
euro, in dieci anni, necessari alla salvezza del Colle di Roma:
«Cifre corrette». Ma? «Mi pare di capire che siamo sempre al punto
nodale. A fronte di urgenti necessità e di previsioni di spesa,
di sicuro, per ora, abbiamo quei 4 milioni di euro annui decisi
dall'ultima finanziaria. Non per il Palatino, ma per tutte le
emergenze archeologiche. Una miserabile vergogna». Parola di Adriano
La Regina, ex soprintendente di Stato per i beni archeologici
di Roma. «In linea di massima - spiega il professore - sono d'accordo
anche con l'idea di una legge nazionale, che in realtà, però,
ci sarebbe già. Basterebbe rifinanziare la legge Biasini, con
cui lo Stato investì sull'archeologia tramite un piano pluriennale
di 20 miliardi di lire l'anno, più un ulteriore stanziamento di
50 miliardi nel 1987. 250 miliardi in tutto. Con quei soldi son
state fatte cose straordinarie: acquisizioni, restauri, tutela.
Ora c'è da chiedersi se i futuri governi italiani siano disposti
a fare altrettanto. La questione è tutta lì». Questione di soldi?
«Appunto. Possibile che lo Stato non riesca, o meglio non voglia,
trovare 50 milioni di euro ogni anno per cinque anni, pari al
costo di un palazzetto nel centro, destinati a salvare i monumenti
antichi di Roma? Con una cifra del genere si risolverebbero tutti
i problemi. Devo invece constatare che negli ultimi anni, con
i finanziamenti, siamo giunti al collasso». Dello stesso avviso
l'ex ministro per i Beni Culturali Giovanna Melandri, ds: «Il
definanziamento della legge nazionale per l'archeologia, approvata
nel 2001, è stato sistematico. Quel provvedimento prevedeva di
destinare ai monumenti antichi 17 miliardi di lire il primo anno,
poi altri dieci miliardi annui per gli anni successivi. Oggi siamo
ai 4 milioni di euro annui. Dunque quelle risorse non solo
non sono aumentate, ma addirittura diminuite. Di cosa parliamo
allora? Dei risultati di una politica costante di tagli alle
risorse, che ci ha fatto ripiombare in una logica emergenziale.
Mi chiedo poi quale sia la novità annunciata da Buttiglione. il
quale ultimamente ripropone cose note con gesti dal chiaro sapore
elettoralistico: fuochi artificiali... Se il Palatino è davvero
diventato un malato grave, non saranno certo i pannicelli caldi
del ministro a guarirlo. Di sicuro, oggi, ci sono quei 4 milioni
di euro annui, che oltretutto non sono destinati solo per il Platino».
Corriere
della Sera - cronaca Roma 17/2/2006 |
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Tagli,
il Comunale chiede aiuto |
16
febbraio 2006 |
"Le
opere in cartellone ridotte da otto a sei Ridotto il deficit del
teatro, meno opere in cartellone Comunale, appello alla città:
«Servono fondi per salvarlo» Deficit ridotto di quasi tre milioni
di euro, al prezzo della cancellazione di due titoli della stagione,
ma con l'impegno di recuperarne almeno uno. Questo il risultato
della riunione del cda del Teatro Comunale di ieri, e per trovare
i soldi necessari l'ente fa appello a tutta la città. Singoli
cittadini compresi, i quali, suggerisce il sovrintendente Stefano
Mazzonis, «potranno devolvere al teatro il 5 per mille delle tasse
con la denuncia dei redditi». I tempi, però, sono stretti. «Entro
un mese, da qui alla prossima riunione del cda - dice il sindaco
Sergio Cofferati, presidente della fondazione lirica — dobbiamo
avere la certezza su quanto si può aggiungere al bilancio. Con
l'obiettivo di presentare entro giugno il cartellone 2006-2007
con sette opere e l'inaugurazione della stagione a novembre di
quest'anno». 11 bilancio approvato all'unanimità infatti, è attestato
su un deficit di 4milioni e 500mila euro, ma prevede un totale
di sei onere, anziché le solite otto, tutte in programma nel 2007.
A meno che, appunto, un capillare lavoro di sensibilizzazione
promosso da Cofferati e Mazzonis, che si concretizzerà anche con
una lettera aperta, non riesca a favorire nuove entrate.«L'appello
— specifica Cofferati — è rivolto agli enti pubblici e ai soggetti
privati come Camera di commercio, banche, Fondazioni, e, attraverso
le associazioni, a tutte le imprese, perché partecipino ad uno
sforzo che garantisca al teatro un futuro stabile, aumentando
i contributi. La disponibilità deve essere comunicata immediatamente».
E Palazzo D'Accursio? «Dovranno contribuire e fare uno sforzo
Regione, Provincia e quindi anche il Comune — risponde il primo
cittadino — nei limiti dei rispettivi budget». Intanto, mettono
in guardia presidente e sovrintendente, il bilancio col segno
meno potrebbe determinare un commissariamento della Fondazione
da parte del ministero. «È un rischio politico che affrontiamo
— ribadiscono — ma era doveroso presentare un bilancio realistico».
Sempre sul fronte nazionale si esprimono attese sul prossimo governo:
«Auspichiamo una riforma delle Fondazioni — fa sapere Cofferati
— che faciliti l'intervento finanziario dei privati, e un innalzamento
del Fus accompagnato da una riorganizzazione dei criteri di assegnazione
dei fondi». I sindacati Fials-Cisal, Cgil, Cisl e Uil, da parte
loro, si dicono soddisfatti. «Vediamo confermato l'impegno del
presidente — sottolinea Beppe Fiorelli della Cgil — ma terremo
gli occhi aperti per verificare una gestione trasparente e l'equa
suddivisione di eventuali sacrifici». I sindacati, dopo il presidio
organizzato ieri, lasceranno sulla facciata del teatro enormi
striscioni. Molto più preoccupati lavoratori con contratti stagionali.
Spiega Claudio Pit-zalis: «Chi ha contratti di 8 o 9 mesi, ha
paura». Per questo, un gruppo di lavoratori ha scritto una lettera
aperta alla gestione del teatro e chiede una «chiara organizzazione
del lavoro e il rispetto della pianta organica».
Luciana
Cavina il Resto del Carlino Bologna 16-FEB-2006 |
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... |
Soprintendenze
pugliesi in tilt |
07
febbraio 2006 |
"I
funzionari delle Soprintendenze pugliesi hanno
deciso di sospendere tutte le attività sul territorio: sono dunque
bloccati gli scavi di emergenza, i sopralluoghi, le verifiche,
i contatti e gli incontri con amministratori locali, con imprese
impegnate in lavori edili, con i cittadini in attesa di autorizzazioni.
"E' evidente la volontà di smantellare il principio costituzionale
(art. 9) della difesa e valorizzazione del patrimonio culturale
e del paesaggio", ha affermato in una nota Giuliano Volpe, ordinano
di Archeologia tardoantica e direttore del Discum, Dipartimento
di Scienze Umane dell'Università di Foggia. "Prosegue senza tregua
il lucido e folle disegno di smantellamento definitivo della tutela
dei beni culturali italiani - ha aggiunto Volpe -. Il settore
della cultura e dei beni culturali vive in questi anni una delle
fasi più buie della nostra storia. Si tratta di un duro colpo
in particolare per gli organi periferici del ministero per i Beni
e le Attività Culturali, le Soprintendenze, ormai ridotte in uno
stato agonizzante. Un colpo che rappresenta l'ultima tappa, per
ora, di un processo di depotenziamento, come emerge dall'annoso
blocco delle assunzioni e del turn over: al momento la metà circa
delle Soprintendenze è coperta per reggenza in mancanza di Soprintendenti
di ruolo, mentre l'età inedia dei funzionari raggiunge 55 anni".
Corriere
del Giorno, 07/02/2006 |
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Salvare
l'archivio comunale dal degrado |
01
febbraio 2006
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"Nicosia.
Per salvare l'archivio storico del Comune dal degrado, il sindaco
Pino Castrogiovanni chiede l'intervento economico della Soprintendenza
archivistica per la Sicilia e dell'assessorato regionale Beni
culturali. L'archivio storico di qualunque Comune rappresenta
il "racconto e la memoria" dei suoi abitanti, ma quello cittadino
è da anni in attesa di essere riordinato e sistemato in locali
idonei per il pubblico. Attualmente l'Archivio storico è "stipato"
nei locali di via Scuole vecchie in attesa di essere inventariato
e collocato negli scaffali. Il sindaco chiede un contributo di
105 mila euro da destinare alla disinfestazione, con prodotti
specifici per i documenti e poi al lungo lavoro di inventario
e riordino degli atti, ma anche per alcune attrezzature di cui
dotare i locali e il dipendente addetto all'archivio storico.
Il Comune ha presentato la richiesta di contributo sulla base
di una recente circolare dell'assessorato regionale, che prevede
questi specifici contributi che devono essere spesi in base a
precise indicazioni dello stesso assessorato. Inoltre il Comune
ha l'obbligo di eseguire la spesa e utilizzare il contributo entro
un anno dalla sua concessione e deve impegnare alcuni fondi nel
Bilancio. Nella richiesta di finanziamento il sindaco precisa
che saranno impegnati 2 mila euro per il riordino dell'archivio
e 8 mila per le attrezzature. Per garantire l'apertura al pubblico
e la tutela dell'Archivio storico è già stato nominato un dipendente
comunale".
Sicilia
Enna 01-02-2006 |
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Cancellata»
la Sovrintendenza i beni archeologici dell'Etruria meridionale |
16
dicembre 2005 |
"E'stata
accorpata alla struttura del Lazio. Parroncini: «Decisione penalizzante»
«LA Sovrintendenza per i beni archeologici dell'Etruria meridionale,
di fatto, non esiste più. È stata accorpata con la Sovrintendenza
del Lazio. Un provvedimento, preso dal ministro per i Beni Culturali
Rocco Buttiglione, che giudichiamo in maniera del tutto negativa».
Lo dichiara il capogruppo dei Ds in consiglio regionale Giuseppe
Parroncini. «La Soprintendenza per i beni archeologici dell'Etruria
Meridionale - spiega Parroncini - ha da sempre egregiamente tutelato
e valorizzato un territorio ed un patrimonio archeologico fortemente
connotato presenza dalla etrusca e che proprio per questo richiede
una altissima specializzazione nel settore ed impone di concentrare
le energie e le professionalità specifiche su un settore del tutto
peculiare. Al contrario, la Soprintendenza per i beni archeologici
del Lazio, nata nel 1968, si è occupata di territori caratterizzati
dalla presenza di numerose popolazioni pre romane e in cui è molto
forte la presenza di beni archeologici riferibili all'epoca romana
con molti siti che sono fra i più importanti in Italia e persino
di rilevanza mondiale, quale Villa Adriana. Il territorio è estesissimo,
dall'alta Sabina ai confini con l'Umbria, ad est fino all'Abruzzo
ed a sud fino al Garigliano. Nel mondo scientifico, proprio per
questo era stato più volte chiesto che fosse a sua volta sdoppiata.
Ora il ministro fa esattamente il contrario. Uno schiaffo alla
Tuscia, un colpo alla nostra identità culturale, un colpo a un
patrimonio di interesse mondiale, che mette in discussione anche
lo sviluppo dell'Università, dove si trova l'unica facoltà di
conservazione dei Beni culturali del Lazio». «In pieno accordo
con l'assessore Rodano - continua Parroncini - la Regione chiederà
al governo di tornare su questa decisione, che rappresenta la
cartina di tornasole per capire quanto i beni culturali dei nostri
territori stiano a cuore a questo governo. È l'ennesima prova,
basta guardare ai tagli nella Finanziaria, alla mancanza di manutenzione
di siti di valore mondiale, come la Domus Aurea e il Palatino,
che della cultura e delle possibilità di sviluppo legate a questo
settore, alla destra non interessa niente». personale"
Venerdì
16 dicembre 2005 Il Tempo |
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Musei
e biblioteche l'orario è a rischio |
22
maggio 2005 |
"Le
assunzioni bloccate e i tagli del personale rischiano di ridurre
drasticamente gli orari di apertura delle biblioteche, degli
archivi e dei musei statali. Un giro di vite denunciato ieri in
Piazza Signoria da un presidio di una sessantina di dipendenti
che hanno aderito alla manifestazione indetta da Cgil-Cisl e Uil-funzione
pubblica, per sollecitare un incontro con Palazzo Vecchio. «La
Biblioteca nazionale attualmente ha 240 dipendenti, il 25 per
cento in meno di quanto previsto nell'organico, mentre la Maru-celliana
sarà costretta a chiudere il sabato e qualche altro pomeriggio
perché sono previsti 11 dipendenti in meno» spiega Enzo Feliciani
della Uil, sottolineando l'urgenza dell'apertura di un tavolo
con l'amministrazione comunale «Doiché ormai al ministero nessuno
ci ascolta e tanto meno risponde alle nostre richieste». Anche
nei musei statali sono previste riduzioni di orari, «come già
accade a Pompei, agli Uffizi, alle biblioteche e all'archivio
centrale di Roma — aggiunge Giulietta Oberosler della Cgil — istituti
costretti a ridurre servizi e aperture, senza contare gli altri
che rischiano infine di chiudere per assenza di personale e mancanza
di fondi». Alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, prosegue
la denuncia dei dipendenti «non sono state più fatte assunzioni
dal 1990 e in base alle previsioni nel 2008 si prevedono metà
dei dipendenti attuali, con un organico ridotto a 120 persone».
I sindacati: "Colpa dei tagli al personale"
M.
Amorevoli la Repubblica Ed. Firenze, 22 maggio 2005 |
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Manca
spazio all'archivio di Siracusa |
16
Novembre 2004 |
"Non
si trovano all'Archivio di Stato tre faldoni riguardanti l'anno
1860 (buste numeri 68, 69 e 70) già Affari diversi del comitato
garibaldino della provincia». A denunciarlo è lo studioso di storia
patria Ottaviano Perricone, originario di Rosolini, che vive a
Roma dove svolge funzioni direttive alla Confagricoltura, autore
del libro «Lo sbarco in Sicilia» e di altri studi su fatti storici
locali. Perricone per completare una ricerca sul Risorgimento
nella Sicilia sud orientale avendo la necessità di leggere alcuni
dei documenti contenuti nei faldoni, si è recato nella sede dell'Archivio
di Stato di Siracusa ed insieme con i dirigenti e al personale
hanno fatto la scoperta di non trovare i fascicoli. Potrebbero
essere rimasti, dopo il trasferimento di qualche anno fa, nei
vecchi locali assolutamente inidonei: lo scantinato garage dove
passerebbero allo scoperto le condutture dell'acqua, del riscaldamento,
delle fognature di un edificio a più piani adibito ad abitazioni
private. «Dopo alcune ricerche - ha affermato lo studioso - una
cortese funzionaria con molta professionalità ha risposto telefonicamente
che i faldoni si trovano nei vecchi locali e che sono rimasti
lì dopo il trasferimento avvenuto qualche anno fa. A causa di
ricorrenti, inevitabili guasti e perdite, già una parte della
documentazione archivistica conservata sarebbe andata distrutta.
Il resto sarebbe a rischio». 11 fondo archivistico garibaldino,
in particolare, necessiterebbe di disinfestazione preliminare
e poi, se necessario, di un intervento di restauro, al fine di
restituire agli studiosi del nostro Risorgimento e a tutti i cittadini
un patrimonio storico. Per questo Perricone ha scritto al sindaco
Titti Bufardeci, al presidente della Provincia, Bruno Marziano,
ed al ministro dei Beni culturali, segnalando il caso. «È - ha
detto lo studioso originario di Rosolini - un'ottima iniziativa
quella di fare intervenire i "caschi blu" della cultura italiani
per salvaguardare i tesori artistici minacciati dalle guerre,
senz'altro da plaudire e sostenere. Ma non bisogna dimenticare
l'Italia, in particolare dell'Archivio di Stato siracusano verso
il quale il mio atteggiamento è amichevole e collaborativo. Ritengo
-conclude Ottaviano Perricone - che i dirigenti ed il personale
archivistico di Siracusa, di grande prestigio scientifico e di
alta levatura professionale, non siano responsabili di questa
situazione, da addebitare semmai a chi ha scelto e destinato ad
archivio locali assolutamente inadeguati».
«Non
si trovano tre faldoni del 1860» - Giornale della Sicilia, 16
novembre 2004 |
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Tagli
sconsiderati ai bb.cc. |
15
Settembre 2004 |
"Il
9 luglio scorso il Consiglio dei Ministri approvava il cosiddetto
"decreto tagliaspese", a seguito del quale il Ministro Urbani
è insorto relativamente - parole sue - ai «tagli
sconsiderati che hanno inciso in modo pesante e indiscriminato
sui beni culturali». Se persino un berlusconiano di
ferro come il nostro ministro dei Beni Culturali è insorto sulla
riduzione dei 25% su fondi riservati alle spese per il funzionamento
di musei e di siti archeologici, vuoi dire che siamo proprio arrivati
alla frutta. L'Italia infatti, sotto il profilo dei beni artistico-culturali
non è un Paese come tutti gli altri. La quantità di tesori artistici,
patrimonio del nostro paese, arriva a sfiorare quasi i tre quarti
di quelli dell'intera umanità. E' intuitiva quindi l'importanza
di una politica di conservazione e valorizzazione di questo patrimonio.
Per l'economia del nostro paese, per il suo prestigio, l'arte
e la cultura rappresentano elementi vitali irrinunciabili. «Il
nostro patrimonio artistico è un marchio. Lo si vuole capire o
no? (...) La scelta delle priorità non può essere delegata ai
tecnici. E' il governo, nella sua collegialità a dover decidere».
Con queste parole Urbani, che vede minacciata la sopravvivenza
stessa del suo ministero, chiama in causa lo stesso governo e
Berlusconi. La durezza dell'intervento del ministro è inusitata
e per tutti coloro che tengono alle sorti della rete fittissima
dei nostri musei e dei siti archeologici corrisponde a una circostanza
inquietante. La minaccia del depauperamento di questo enorme e
preziosissimo patrimonio riguarda infatti non solo la nostra cultura,
ma anche la fitta rete di interessi e attività turistico-commerciali
che ad esso fa riferimento. Nella sua esternazione al Corriere
della sera dell'agosto scorso, Urbani ha dichiarato di essere
disponibile a attendere fino a dicembre, cioè fino all'approvazione
della prossima finanziaria che dovrà decretare una inversione
di tendenza. Una volta tanto siamo d'accordo con lui,
Liberazione,
15/09/2004 |
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Riduzione
Soprintendenza di Modena |
Settembre
2004 |
"La
soprintendenza modenese ridotta a uno "sportello", a un ufficio
distaccato senza poteri e senza autonomia, dipendente in tutto
e per tutto da Bologna. L'allarme è lanciato da Italia Nostra
di Modena, che invita le autorità modenesi a scongiurare questo
pericolo. «Nonostante e contro le assicurazioni che il sottosegretario
Bono aveva dato rispondendo alla interrogazione del senatore Luciano
Guerzoni - si legge in una nota del direttivo della sezione modenese
dell'associazione - sembra che l'autonomia della Soprintendenza
ai beni storici, artistici e etnoantropologici per le province
di Modena e Reggio, che ha sede a Modena, debba essere sacrificata,
nella nuova organizzazione del ministero per i beni e le attività
culturali, alla moltiplicazione delle direzioni generali». «Poiché
questa contestabile operazione di potenziamento centralistico
è prevista a costo zero (con sacrificio della trama operante della
tutela territoriale), ne fa allora le spese anche il ruolo direttivo
(la figura stessa del Soprintendente) della nostra Soprintendenza,
che diverrebbe, privata della necessaria autonomia, un ufficio
periferico ("uno sportello") della Soprintendenza bolognese».
«È noto a tutti che la Soprintendenza non è un qualsiasi ufficio
burocratico di decentramento amministrativo del ministero centrale,
che può essere soppresso o accorpato ad altro ufficio per esigenze
finanziarie (cioè di economia di spesa) o organizzative. La Soprintendenza
di Modena è un istituto culturale, riconosciuto come tale nel
1939 nel quadro generale di riordino delle soprintendenze, espressione
organica di un'area culturale di ben definita identità, entro
gli stessi confini dello stato preunitario estense». «La mortificazione
della Soprintendenza, con la meccanica aggregazione a Bologna,
contraddice per altro i più recenti e responsabili comportamenti
del Ministero, che ha inteso invece valorizzarla, dotandola di
una prestigiosa ed efficiente nuova sede attraverso l'oneroso
acquisto della più preziosa porzione del palazzo Solmi (già Rangoni),
con l'impegno dei relativi incipienti restauri». «Italia Nostra
invita quindi le amministrazioni rappresentative della città e
della provincia ad assumere una ferma iniziativa diretta a contrastare
un proposito ispirato a rozze ragioni burocratiche, che offende
le esigenze di una viva cultura della "tutela».
Gazzetta
di Modena, 14/9/2004 |
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Parma:
un hotel al posto dell'archivio |
Giugno
2004 |
"C'è
davvero una sollevazione degli intellettuali, americani ed europei,
di fronte alla paventata chiusura dell'Archivio
di Stato di Parma, connessa al restauro dell'Ospedale Vecchio
programmato dal Comune. Sono centinaia ormai le firme, in
testa quella di Jacques Le Goff che, da Parigi, chiede al sindaco
che «il servizio fondamentale offerto dall'Archivio di Stato non
venga interrotto e non si preveda lo smembramento dei fondi documentari»;
si aggiunge Carlo Pedretti, dalla California, che si dichiara
«allibito»; e poi Charles Dempsey da Baltimora, da Milano Giorgio
Chittolini e Franco della Peruta, da Torino Massimo Firpo, da
Madrid Almudena Perez de Tudela, da Pisa Adriano Prosperi e tantissimi
altri. Ma, in realtà, che cosa è accaduto? Da due generazioni
si progetta di restaurare l'Ospedale Vecchio, 22.000 metri quadrati,
costruito dal '400 all'800,150 metri di facciata, oltre 100 di
profondità, enormi corridoi, architetti rinascimentali come Giorgio
Edoari da Erba e Bernardino Zaccagni, e ottocenteschi come Nicola
Bettoli. Adesso il Comune, con il metodo del project financing,
dunque col contributo determinante del privato, decide di intervenire:
10.000 metri saranno destinati ad albergo e a negozi sul filo
della via d'Azeglio, asse della città in dirczione di Milano,
ma anche tutto il resto sarà restaurato per funzioni pubbliche,
a partire dagli inizi del 2005, e in tempi brevi. L'idea del Comune
è quella di creare una «Cittadella della carta e del cinema» integrando
Biblioteca Civica, parte dell'Archivio di Stato e nuove funzioni,
comprese quelle del loisir, e inserendo laboratori per la grafica,
la legatoria, il libro e la sua storia e ancora una grande biblioteca
internazionale. Ma la bozza di progetto prescelta, per altro passibile
di modifiche, prevede interventi pesanti: a piano terra la creazione
di un volume entro uno dei cortili, sala di lettura della biblioteca
civica; e, ancora, manomissioni gravi dell'ala ottocentesca; tagli
assurdi, a falce, nei muri ortogonali dell'ala del '400; persino
la creazione di un cinema nella parte nord della crociera e, ancora,
soppalchi e inserimenti violenti di strutture di servizio. Le
riserve di molti docenti universitari sono nette: «Il riuso come
albergo-residence implica modifiche inteme ed esterne inaccettabili»
dice Bruno Adorni; «È il frutto di una gara pubblica fra imprese,
una cosa triste, l'Italia si sta degradando» dice Guido Canali;
«Il progetto non rispetta i caratteri dell'architettura che non
è idonea a reggere le funzioni proposte» aggiunge Carlo Quintelli.
La Soprintendente ai Beni Ambientali e Architettonici di Bologna
Sabina Ferrari, sottolinea che «i progetti devono essere trasmessi
per le necessarie approvazioni alla Soprintendenza competente»
ma, in precedenza, sulla base di un elaborato simile all'ultimo
proposto aveva formulato nette riserve, non sulla fattibilità
dell'albergo ma sulle modifiche delle quote pavimentali, sulle
controsoffittature, sui tagli delle pareti antiche interne e sui
nuovi blocchi edificati all'esterno. Quanto al problema del trasferimento
dell'Archivio sfrattato dal primo luglio dal Comune, il direttore
Marzio Dall'Acqua ricorda che «qui si conserva la memoria dei
Farnese, dei Borbone, di Maria Luigia, abbiamo 40 mila fruitori
all'anno e centinaia di studiosi». Il programma sarebbe di trasferire
al San Luca degli Eremitani, un convento semifatiscente, l'archivio,
ma mancano almeno 10-12 milioni di euro e i tempi di restauro
sarebbero lunghissimi. «A Firenze quando hanno trasferito l'archivio
non hanno interrotto il servizio per un giorno» sottolinea Roberto
Greci, medioevalista. Ma allora che fare per l'Archivio e come
intervenire sul progetto? Perché è evidente che l'Ospedale
Vecchio, uno dei più antichi d'Europa, fondato 800 anni fa
da Rodolfo Tanzi, è un monumento da recuperare; il suo
stato di degrado generalizzato è inaccettabile. Il sindaco di
Parma, Elvio Ubaldi, ha le idee chiare: «L'ospedale finora è stato
una specie di corte dei miracoli, persino pericolosa; fino a poco
tempo fa c'erano dei nomadi che accendevano il fuoco al centro
delle stanze, mettendo a rischio tutto il complesso. Il Comune
non ha i soldi per restaurare il sistema, ma dando alle imprese
6,5 milioni di euro su un totale di 25 di costi e cedendo per
trent'anni il solo uso degli spazi per l'albergo e i negozi, il
restauro intero si può fare, in tempi brevi, rispettando i caratteri
monumentali dell'edificio e ottemperando alle richieste della
Soprintendenza e degli storici dell'architettura». Dunque niente
tagli, niente manomissioni, niente soppalchi nelle strutture antiche.
«La Cittadella della carta—aggiunge Ubaldi—sarà un sistema organico,
un percorso alla scoperta della storia della grafica, che a Parma
ha profonde ràdici e uri laboratorio per lo studio del documento
e del significato che esso ha nella storia. Nessuna interruzione
di continuità nel servizio dell'Archivio, offriremo infatti al
Convento di San Paolo, accanto agli affreschi del Correggio, in
pieno centro, una sede moderna e dignitosa per la consultazione
dei materiali e provvederemo a fare sì che l'Archivio non chiuda
neppure un giorno. Poi edificheremo, spero, una nuova, funzionale
struttura». Ma allora come si presenterà, dopo il restauro, questo
complesso sistema? «Dialogo con i turisti, albergo per chi
vorrà restare per studiare, polo di interazione fra Biblioteca
Civica, Archivio di Stato, la vicina Facoltà di Lettere e Filosofia
che fa del documento un nodo della ricerca. Sarà però — dice il
sindaco — per gli italiani la scoperta di un grandioso corridoio
mal visto e ora in stato di abbandono: lungo 118 metri, largo
12, alto 18, sarà la passeggiata dei visitatori di questa Cittadella
della carta, da via d'Aze-glio al Parco Ducale». E sarà una passeggiata
imponente, dopo la Pilotta, la più grande struttura farnesiana
e poi settecentesca della città. Se tutto 'andrà come assicura
il sindaco e il nuovo progetto verrà redatto in modo rispettoso
della strutture antiche, allora la rivoluzione urbanistica dell'Oltretorrente,
quello delle barricate antifasciste del 1922, la zona architettonicamente
meno privilegiata della città, sarà completa. La Cittadella della
carta sarà il polo di una enorme crescita dei servizi culturali
e un sistema di riferimento nuovo per i turisti, dunque un monumento
imponente e bellissimo da aggiungere ai tanti ben noti, ma un
monumento vivo, percorso e fruito da tutti. Ultimo: l'Archivio,
davvero, non deve chiudere neppure un giorno.
Quattro
secoli di architettura Con una superficie di 22 mila metri quadrati,
l'Ospedale Vecchio di Parma è uno dei complessi architettonici
più grandi e importanti d'Europa. Fondato da Rodolfo Tanzi agli
inìzi del '200, fu ricostruito nel '400 e agli inizi del '500
da Giorgio Edoari da Erba e da Bernardino Zaccagni. La grande
crociera è opera degli architetti del Palazzo della Pilotta (fine
'500- inizi '600). con aggiunte e integrazioni di Nicola Bettoli.
Fino al 1923 è stato l'Ospedale di Panna. Ne! secondo dopoguerra
è diventato sede, tra l'altro, dell'Archivio di Stato, della Biblioteca
Civica.
Arturo
Carlo Quintavalle Corriere della Sera 7/6/2004 |
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Taglio
di fondi per i restauri |
Maggio
2004 |
"In
occasione della “Settimana della Cultura” che si svolgerà dal
24 al 30 Maggio 2004,gli Storici dell’Arte della Soprintendenza
al Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Bologna,
non svolgeranno attività straordinarie rispetto ai normali doveri
istituzionali. Si tratta di una protesta per la grave decurtazione
dei finanziamenti ministeriali destinati al restauro di opere
d’arte presenti sul territorio. Per l’anno 2004 nelle chiese
della Diocesi di Bologna, Cesena, Faenza, Ferrara, Forlì, Rimini
e Ravenna non sarà possibile effettuare un solo intervento di
restauro né completare i restauri già in corso. Il danno provocato
da questo taglio di fondi è molto serio. Esso determina un ulteriore
degrado del grande Museo Italia, costituito da città, paesi, borghi.
La soppressione di un intero capitolo di spesa impedisce alle
Soprintendenze l’azione capillare di tutela e conservazione rivolta
a chiese piccole o decentrate che possono contare solo sull’intervento
statale. Questo accade nelle nostre cinque provincie, come in
gran parte del territorio nazionale. Non basta: per il secondo
anno consecutivo i tagli di spesa hanno colpito i restauri previsti
per i dipinti della Pinacoteca Nazionale di Bologna; la voce di
spesa riguardante il catalogo, cioè l’anagrafe del patrimonio
storico artistico, risulta quasi soppressa. Come ognuno può controllare
consultando il sito del Ministero per i Beni e le attività culturali,
nel 2004 rispetto all’anno precedente i tagli ai finanziamenti
di restauro di opere d’arte mobili sono, Regione per Regione,
i seguenti: decurtazione Basilicata 27% Calabria 40% Campania
28% Emilia Romagna 48% Lazio 20% Liguria 6% Lombardia 10% Marche
33% Molise 9% Piemonte 38% Puglia 21% Sardegna 3% Toscana 18%
Umbria 47% Veneto 25% Incremento: Abruzzo 15% Friuli 17%
Comunicato
degli storici dell'arte della Soprintendenza di Bologna - maggio
2004 |
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Archivio
chiuso, tesi di laurea in soffitta |
16
aprile 2004 |
"Giovedì
8 aprile, giorno di santa Giulia, favorevole per rimbalzo o nomastico
a nostri musei e alla cultura bresciana in genere, per l'Archivio
di Stato, sì è mostrato, invece, nuovamente infausto. Ci ha scritto
il nostro notaio, la nostra magnifica "gola profonda", hanno inviato
fax ed e-mail studenti universitari, abbiamo parlato con utenti
delusi, professionisti, autodidatti mortificati. Ora dovrebbe
essere in arrivo una lettera di denuncia inviata al sindaco
di Brescia, al prefetto, al presidente della Provincia, al Ministero
dei beni culturali, alla Procura della Repubblica. Motivo?
L'Archivio è scassato. Da anni continua ad essere scassato,
ma non è motivo per assuefarsi. Non c'è bisogno di riassumere
le puntate precedenti di questo drammone, atto unico di cento
capitoli, titolo, «Come si rovina un Archivio. Storia di una
dissipazione bresciana...». Dunque, che i gabinetti fossero
stato chiusi all'Archivio per mancanza di carta igienica - ma
qualcuno avrebbe potuto procurarla, in attesa di quella bianca
che è la più lunga del mondo, consigli preziosi dallo spot televisivo
- che il montacarichi si fosse bloccato, aggiustato, ribloccato,
aggiustato, che la direttrice fosse stata comandata a Milano e
a sostituirla fosse venuta la collega di Cremona, un giorno-maxime
due la settimana, che gli utenti della Lombardia e dintorni si
fossero trovati le porte chiuse cento volte, per un'indisposizione
oppure per un nuovo clamore oppure per una rivendicazione, senza
avvertenza, finalmente, si erano detti tutti, il giovedì 8 di
santa Giulia, si volta pagina. Parlano i testimoni dell'8 aprile:
«L'archivio era superaffollato, una studentessa ha predisposto
una lettera dì denuncia contro l'andazzo archivistico. Ampia
sottoscrizione. Quindi, subito, è uscita la più bella, anzi il
danno più alto: lo sapete che a causa dell'apri e del chiudi,
delle impossibili consultazioni archivistiche,
diversi studenti universitari bresciani hanno
dovuto cambiare il titolo della loro tesi, rimboccarsi le maniche
dopo mesi di lavoro, riferire al professore le difficoltà strutturali
dell'Archivio di Stato di Brescia e stabilire di accedere ad un
altro titolo, ad un'altra tesi la cui elaborazione
stesse alle larghe dall'Archivio di Stato di Brescia? La parola
d'ordine, tra numerosi laureandi bresciani è stata questa: chiedete
una tesi che non abbia nulla da chiedere all'Archivio di Stato
di Brescia. Qui, Sasà di Striscia la notizia, prima o dopo,
verrà a soggiornare per le ferie e in pochi, all'Archivio, non
si cuccheranno un tapirone. Ci chiediamo: per salvare il funzionamento
normale del nostro Archivio, dobbiamo buttare in pasto agli
italiani tutta la nostra insipienza, dobbiamo sfregiare la città
e la provincia bresciana, dobbiamo filmarla in tivù mentre mostra
gabinetti, montacarichi, direttori, chiusure a sfarfallo? È
ben grave che degli studenti bresciani non possano laurearsi su
una tesi per il fatto che l'Archivio di Stato, ricchissimo di
notizie, della memoria da mille elefanti, del prestigio solenne
di un passato fiorentino, dei fondi famigliari irreperibili da
altre parti dell'aristocrazia di almeno 300 anni, non si regga
in piedi per distrazioni complessive, per un degrado palleggiato
tra parti sociali ed istituzioni. Volete i nomi degli studenti
che hanno dovuto cambiare tesi per le chiusure dell'Archivio di
Stato? Per la cosiddetta privacy li tratteniamo nel cassetto,
ma se proprio ne vorrete sapere di più, li affiggeremo - con il
loro consenso - sul palmo delle mani di Arnaldo, Garibaldi, Speri,
Moretto, Tartaglia. E sulle mani di Zanardelli, il quale, avendo
contatti postumi e liberali con il ministro Urbani, lo sveglierà
su questa situazione, A parte l'ironia, non altro che passione
- consentitela anche a noi, ogni tanto - non ci pare, tutti insieme,
che dovremmo metterci una pezza subito a questo Archìvio che fa
acqua da tutte le parti e mostra ormai i segni su faldoni umidi
e testi in rischio di malora? Numerose testimonianze del Giovedì
Santo dicono che l'Archìvio ha funzionato a ritmo ridotto, consegna
di soli 2 pezzi archivistici poiché quasi tutto il personale era
in ferie, Archivi decenti prevedono la consegna da 6 a 12 pezzi
archivistici al giorno in consultazione. Ultimissima e primissima.
Un genitore è venuto a sincerarsi che suo figlio non gli raccontasse
stupidaggini. Non gli credeva, non poteva pensare che fosse vera
la giustificazione che portava al cambio della tesi: «Papà, devo
cambiare tesi di laurea, l'Archivio è quasi sempre chiuso. E'
d'accordo anche il mio professore». Il genitore, il Giovedì Santo,
è tornato a casa amareggiato, ma rassicurato che il figlio gli
avesse riferito una storia vera, tra le più bruttine, ma vera.
È tutto, per ora, dalla piovosa trama culturale bresciana in un
aprile accidioso.
Tonino
Zana Il Giornale di Brescia 16/4/2004 |
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"Biblioteche
in rivolta: no al ticket" |
16
aprile 2004 |
"Biblioteche
in rivolta: no al ticket. Bibliotecari al lavoro vestiti a lutto
e scrittori trasformati in bibliotecari per un giorno. Libri a
scaffale con strani «prezzi di prestito» appiccicati in copertina
e raccolte di firme di protesta. Insomma, se ne vedranno delle
belle nelle biblioteche di mezza Europa tra qualche giorno. E
a guidare la rivolta per l'Italia è la biblioteca civica di Cologno
Monzese. Motivo di tanta mobilitazione? Una direttiva emanata
dall'Unione Europea: per ogni prestito effettuato in biblioteca
bisognerà riconoscere una «remunerazione» agli autori e agli editori.
Insomma, un ticket sul prestito
che già altre nazioni hanno applicato con forme diverse: in Germania
ad esempio è a carico dello Stato, in Francia è invece ripartita
tra biblioteche e governo centrale. L'Italia e altre cinque nazioni
finora avevano aggirato la richiesta applicando un articolo della
direttiva che prevedeva la possibilità di esonerare alcune istituzioni,
ma nei mesi scorsi l'Ue è tornata alla carica e ha concesso due
mesi per mettersi in regola. Due mesi che invece i bibliotecari
vogliono usare per fare pressione e evita- re che la direttiva
venga accolta: «Le biblioteche — spiega Luca Ferrieri, direttore
della biblioteca di Cologno — sono già di supporto agli autori
e agli editori, senza dover pagare ulteriori ticket: in biblioteca
si promuove la lettura, si fanno conoscere i libri, anche quelli
lontani dai grandi circuiti editoriali. Se le biblioteche dovessero
pagare i ticket, avrebbero meno soldi a disposizione per acquisto
di materiale e per iniziative di promozione: tutto il sistema
lettura-cultura ne verrebbe danneggiato». La biblioteca di
Cologno ha istituito un sito in-ternet (www.nopa-go.org) che
ha raccolto quasi 5.000 adesioni, ha creato un comitato di promotori
(di cui fanno parte anche i Sistemi Bibliotecari Vimercatese,
Nord Est Milano, Milano Est, Nord Ovest) che coordineranno azioni
a livello internazionale, ha steso una lettera di protesta
da indirizzare al presidente della Commissione europea Romano
Prodi. E per il 23 aprile (giornata Unesco del libro e del
diritto d'autore) porterà direttamente tra gli scaffali alcuni
autori.
Leila
Codecasa Corriere della Sera - cronaca Milano 16/4/2004 |
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"Beni
mobili" al saccheggio privato |
31
ottobre 2003 |
"Urne
etrusche, vasi romani, statue, quadri in tela, tavoli, disegni,
argenti, porcellane, mobili, documenti storici, lettere autografe
di Machiavelli o Lorenzo de' Medici: nell'articolo 27 del decretone
blindato con la fiducia e approvato ieri al Senato, si chiamano
«beni mobili» e sono il nuovo tesoro collettivo che
Tremonti ha deciso di trasformare in soldi per le sue casse.
Per ora, con un elemento di tracotanza in meno, rispetto alla
dismissione dei «beni immobili», cioè palazzi, castelli, conventi,
aree boschive: per i beni mobili, infatti, non si prevede la formula
del «silenzio-assenso» prevista nel medesimo articolo 27 per gli
immobili. È quella formula che segna il capitolo finale della
vicenda cominciata con Patrimonio s.p.a., e per cui se le stremate
Sovrintendenze non riusciranno a produrre in centoventi giorni
una perizia che indichi il valore storico-artistico-culturale
del bene che il Tesoro vuole papparsi, il bene potrà automaticamente
essere messo in vendita. (Ma anche sui centoventi giorni, naturalmente,
c'è il trucco: in realtà sono novanta, i primi trenta sono quelli
in cui l'Agenzia dei Demanio, creatura del Tesoro, produci la
lista dei beni che intende alienare, con relativa scheda descrittiva).
Ora, il ministro Urbani va in giro dichiarando che ha salvato
i gioielli di famiglia. Già, si venderanno quadri e statue
solo se le Sovrintendenze, rispettando i proprì tempi, diranno,
che si può. Ma questo basta a difendere dalle insidie questa
nuova fetta del nostri patrimonio pubblico? Perché, che l'idea
sia quella di vendere, è chiaro, sennò perché Tremonti i «beni
mobili» li avrebbe voluti iscrivere nel decretone? E perché sarebbe
stato cassato l'emendamento dell'opposizione che chiedeva semplicemente
di cancellare quell'aggettivo, «mobili»? Le avvisaglie, d'altronde,
c'erano state già nei mesi scorsi: alcuni sovrintendenti, da quando
s'è messa in moto la macchina di dismissione dei beni immobili,
hanno provato a capire se in vendita vanno anche gli arredi che
contengono. A Napoli, poniamo, il convento dei Girolamini contiene
una delle più famose biblioteche del mondo, con manoscritti musicali
dì importanza eccezionale, e una quadreria con tele di Guido Reni;
ci sono complessi monumentali (mettiamo a Roma Costei Sant'Angelo)
che custodiscono tesori archeologia. Ma dal Ministero dei Beni
Culturali in questi mesi non è arrivata nessuna risposta. Nicola
Spinosa, sovrintendente del Polo Museale di Napoli una delle soprintendenze
speciali insieme a Venezia e Firenze, nate con decreto del gennaio
2002 ~ analizza: «Non mi risulta che in nessun altro paese
europeo si sia posto il problema di vendere beni mobili o immobili
di valore culturale. Né la Spagna, né la liberalissima Olanda.
Ci si rifa al modello americano,
ma bisognerebbe dire che i musei degli Stati Uniti, sì, a volte
vendono o scambiano i proprì pezzi, ma loro non espongono la storia
propria: espongono quadri italiani o fiamminghi, e questi, sì,
talora sono disposti a venderli. Un Andy Warhol che è un pezzo
di civiltà loro, non lo venderanno mai». Ma qual è il patrimonio
che da ieri è entrato in area a rischio? «A
rischio gravissimo sono, anzitutto, i musei archeologici»
chiarisce Spinosa. «Perché nei loro depositi
sono custoditi migliaia di reperti che non sono beni unici, sono
frutto dì quella che possiamo chiamare industria, per esempio
le migliaia di cimeli funerari trovati in tombe e necropoli».
Si tratta, cioè, chiarisce, di pezzi singolarmente umili, ma millenari,
e che nel loro complesso, e nel contesto in cui sono stati ritrovati,
sono la testimonianza della nostra civiltà. Pezzi, proprio per
queste caratteristiche, custoditi nei depositi anziché essere
esposti, ora a rischio di finire nelle sale di qualche museo americano
o nel salotto di qualche miliardario collezionista. Perché, come
per i beni immobili, anche di valore storico-artistico-culturale,
trasformati in denaro potenziale con la legge istitutiva di Patrimonio
s.p.a., si capisce che l'obiettivo non è vendere il David di Michelangelo
(come non è vendere la Fontana di Trevi) ma è il resto: ciò che
è più celato, più in retrovia. Quel patrimonio minore diffuso
sul territorio e stratificato nei millenni che, spiega Spinosa,
e qui evoca gli studi ai Federico Zeri, costituisce l'identità
italiana. L'obiezione dell'uomo della strada è questa: ma se questi
tesori sono custoditi nei depositi e non visìbili, a cosa servono?
«Allora dovremmo bruciare tutti i documenti d'archivio» commenta
caustico il sovrintendente. D'altronde, se molta roba è custodita
nei depositi, o comunque, se sparsa sul territorio, è ancora non
schedata, atte spalle ci sono problemi cronici: mancano spazi
espositivi, la cosiddetta «scheda OA», di cui et sì serve, è così
compli- cata che un addetto riesce a schedare un massimo di sei
oggetti al mese, mentre le sovrintendenze sono allo stremo per
mancanza di soldi e di personale (i concorsi per il personale
ausiliario sono fermi da dieci anni). E dunque è un 'eccezione
il Poh museale partenopeo, che sotto la gestione Spinosa è arrivato
a schedare ed esporre il 95% dei proprì beni. Ora, il sovrintendente
napoletano ha usato una parola, «archivi», che evoca un altro
fronte: gli archivi di Stato. Uno per ogni capoluogo di
provincia, sono i «depositi» in cui è custodita la nostra memoria
pubblica. Con vincoli, in teorìa, anche maggiori di quelli che
tutelano altri beni: documenti e archivi sono del demanio,
gli archivi sono considerati «universitas rerum» e non possono
essere smembrati e, per statuto, non dipendono neppure dalle sovrìntendenze
archivistiche regionali, che hanno competenza solo sugli archivi
privati del territorio. Quello di Firenze, per esempio, quali
tesori contiene? chiediamo alla professoressa Rosaria Mannu Tolu,
che lo dirige. «Conserviamo documenti dal 726 dopo Cristo, tutta
la documentazione prodotta da magistrati e uffici che hanno esercitato
il governo su Firenze e poi sulla Toscana nei secoli, più gli
archìvi delle grandi famiglie, più gli archivi delle arti» spiega.
Sicché nel palazzo di via Giovine Italia (tra gli edifici pubblici
candidati dia vendita da Tremonti...) ci sono lettere autografe
di Machiavelli, Lorenzo il Magnifico, Michelangelo, Botticelli,
Leonardo, i conti correnti del Buonarroti al Banco di Santa Maria
Nuova, le carte del governo dei Medici e di quello lorenese. Piacerebbero
a qualche università statunitense? Piacerebbero a qualche collezionista?
«Considero inaccettabile, irreale, l'ipotesi che s'intenda
vendere questi beni. Non credo che possano attentare all'identità
italiana» respinge l'idea la custode di questi beni. Ed evoca
quella parola, «demanio», che fin qui, nell'Italia dell'ultimo
secolo, aveva significato l'assoluta garanzia. Non fosse che nell'Italia
di Tremonti è un'altra quella che ha preso corso: «sdemanializzazione».
Via accelerata alla vendita. "
Maria
Serena Palieri L’Unità 31-OTT-2003 |
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S.O.S.
archivi e biblioteche |
14
ottobre 2003 |
Il
taglio dei fondi da parte del Governo mette in ginocchio i Beni
Culturali: rischio chiusura e allarme per i lavoratori. Siamo
al collasso per il settore degli Archivi e delle Biblioteche.
Il Governo continua inesorabile a tagliare i fondi: “ Tagli ai
fondi, musei in bolletta” riportava in prima pagina La Repubblica
del 13 ottobre 2003. E ancora “Vento di crisi nei musei italiani
a causa dei tagli imposti dal Tesoro. A due anni e mezzo dall’insediamento
ai Beni Culturali del ministro Urbani, Soprintendenze, archivi
e biblioteche non sanno più come arrivare a fine mese”. La
situazione è aggravata dalla nuova Riforma del Ministero, approvata
dal Consiglio dei Ministri, che ha cancellato il dipartimento
riservato agli Archivi e alle Biblioteche le cui direzioni
sono state accorpate nel dipartimento delle antichità, le belle
arti e il paesaggio. In questo contesto di forte ridimensionamento
degli archivi e delle biblioteche, in cui vengono tagliati
anche quei fondi necessari a garantire lo svolgimento delle pulizie
o il pagamento delle bollette, in data 3 luglio 2003 è stato
sottoscritto un accordo tra Amministrazione e OO. SS. (CGIL–CISL–UIL–FLP–UNSA
esclusa la sola RdB) con il quale viene disciplinata per l’anno
in corso la materia delle turnazioni del personale. Questo accordo
recita che “la contrattazione nazionale assegna a ciascun Istituto
un budget di Sede, corrispondente a quello assegnato per l’anno
2000, per la remunerazione delle posizioni di lavoro al personale
impiegato nelle turnazioni” quindi “la contrattazione decentrata
di Istituto determinerà le modalità con cui organizzare le turnazioni
tenuto conto del budget assegnato”. Con l’accordo del 3 luglio
2003 vengono tagliate le indennità di turnazione che sforano il
budget di sede assegnato e si stabilisce che i lavoratori debbano
comunque garantire l’orario di servizio senza pretendere in cambio
la retribuzione prevista dal contratto. Nel corso degli anni ci
siamo abituati alle varie nefandezze sindacali imposteci da CGIL,
CISL, UIL- come l’ultimo contratto nazionale che segna un ulteriore
pesante attacco al potere d’acquisto delle nostre retribuzioni,
mai cadute così in basso - ma francamente sottoscrivere un accordo
in cui si pretende che i lavoratori garantiscano comunque la propria
prestazione lavorativa senza alcun compenso economico non è degno
di una organizzazione sindacale, neanche la più corporativa. Questo
è stato uno dei motivi determinanti che hanno costretto alle dimissioni
dalla RSU dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma - in accordo
con i propri elettori – due delegati sindacali eletti nelle liste
della RdB, avendo constatato che gli altri delegati eletti nella
RSU, facenti riferimento alle sigle sindacali firmatarie di quell’accordo,
usavano la RSU stessa, di concerto con l’Amministrazione, per
convincere i lavoratori ad accettare il taglio delle indennità.
Ai lavoratori è stato minacciato che sarebbe stata sospesa loro
la remunerazione per i progetti di “apertura prolungata” e di
“produttività ed efficienza” nel caso in cui si fosse arrivati
alla chiusura pomeridiana dell’Istituto. Queste sono state le
argomentazioni rese in assemblea dai rappresentanti territoriali
della CISL e della UIL. Una vergogna! Un vero e proprio ricatto!
Siamo dunque di fronte a tre ordini di questioni:
1.
La riforma del ministero che smantella il dipartimento degli Archivi
e Biblioteche;
2.
Il drastico taglio dei fondi da parte del Governo con cui si rischia
il vero e proprio collasso del settore e la conseguente chiusura
di molti Istituti Statali;
3.
L’accordo del 3 luglio 2003 siglato da tutte le OO.SS. ad esclusione
della RdB, utilizzato da Amministrazioni e sindacati concertativi
per imporre ai lavoratori di garantire i servizi pomeridiani senza
percepire in cambio alcuna retribuzione.
Non
c’è più un minuto da perdere! Facciamo appello a tutte le lavoratrici
e ai lavoratori degli Archivi e delle Biblioteche affinché si
costruisca in tutto il Paese una forte risposta dal basso in difesa
dei nostri posti di lavoro, per ottenere il pagamento delle turnazioni
prestate, per salvare l’immenso patrimonio culturale statale da
una miope politica fatta di tagli e dismissioni del nostro patrimonio
Sarà necessario giungere ad una riunione nazionale: chiediamo
ai lavoratori, anche singoli, ai delegati RSU di ogni Archivio
e Biblioteca di aderire al presente appello -telefonando al contatto
riportato in basso - e di dare la disponibilità per costruire
una “rete nazionale di lavoratori e RSU in difesa dei beni culturali”.
Facciamo circolare il presente appello nazionale in tutta Italia,
presso tutti gli Archivi, le Biblioteche, i musei statali, gli
organi di stampa, le Istituzioni, per arrivare al più presto ad
uno o più momenti di mobilitazione, senza escludere lo sciopero
nazionale del settore. Roma, 14 ottobre 2003 I lavoratori dell’Archivio
Centrale di Stato di Roma Contatti Tel: Maurizio Roberto 654548490
RdB Coordinamento Nazionale Beni Culturali 2003-10-14 |
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Archivi
in bolletta |
27
giugno 2003 |
Alla
soprintendenza archivistica della Toscana i telefoni non squillano
più. La soprintendente Paola Benigni ha disdetto il contratto
telefonico: i fondi non bastano. Sempre a Firenze, all'archivio
provinciale dove sono custoditi papiri del VI secolo, i dipendenti
alzano ancora la cornetta, ma devono districarsi tra le ragnatele:
i tagli hanno colpito le imprese di pulizia. Le 20 soprintendenze
regionali e i cento e più archivi provinciali sono sul lastrico.
I tagli ai fondi del ministero dei Beni culturali retto da Giuliano
Urbani sono cominciati nel 2000. Nel 2003, in alcuni istituti
sono arrivati al 60 per cento rispetto a tre anni prima. «Secondo
la Corte dei conti, i dirigenti degli archivi sono responsabili
delle spese non autorizzate. E si può andare fuori budget solo
per motivi di ordine pubblico: non è il nostro caso», dice Benigni.
Ma la soprintendente con i fondi a disposizione non può assicurare
la vigilanza sugli archivi che le assegna la legge. In alcune
sedi si risparmia tenendo l'aria condizionata al minimo, misura
che, oltretutto, può causare danni ad antichi manoscritti. "Il
prossimo inverno non avrò i soldi per pagare il riscaldamento.
Per il telefono non arriverò alla fine dell'anno», rincara Daniela
Ferrari, direttrice dell'archivio di Mantova. Anche i fondi per
gli investimenti si sono ridotti. A Mantova hanno messo gli impianti
per l'aria condizionata, ma costa troppo farli funzionare. I dirigenti
degli archivi hanno calcolato che servirebbe un modesto finanziamento:
4 milioni per le spese correnti, altri 8 per gli investimenti
più urgenti. Urbani per ora ha promesso solo 900 mila euro. E
gli archivisti minacciano la serrata.
'Espresso
27/6/2003 |
|
L'Archivio
storico cerca sponsor |
26
giugno 2003 |
«Pure
il sapone e la carta igienica ci hanno tolto! Solo una risposta
potevo dare agli studiosi che ogni mattina bussano alle porte
dell'Archivio di Stato di Brescia: arrangiatevi». La dottoressa
Laura Bezzi è troppo schiva e ben educata per arrabbiarsi. Con
un filo di voce racconta gli ultimi 23 anni della sua vita passati
a spulciare gli archivi storici delle famiglie nobiliari bresciane,
quelle che dal 1300 in poi fecero la fortuna della Repubblica
Serenissima di Venezia. Nobili, colti, amanti delle arti e della
musica e pure armieri. Mai la dottoressa Bezzi, promossa
direttrice dell'Archivio dieci anni fa, avrebbe immaginato
che il ministero dei Beni culturali le avrebbe tagliato i fondi
per la gestione ordinaria. Racconta: «Da un giorno all'altro
hanno dimezzato il budget annuale. Da 40mila a 21mila euro.
Ho scritto, telefonato, preteso chiarimenti: non c'è stato niente
da fare. L'altro giorno ho preso ramazza e paletta e ho spazzato
il mio ufficio e le sale studio del secondo piano. La ditta delle
pulizie? Liquidati pure loro, non posso più pagarli. Adesso cerco
qualcuno che venga a fare le pulizie due ore a settimana». Brescia
non è un più sfortunata di altre città. Le sforbiciate romane
ai bilanci colpiscono tutti gli Archivi di Stato, e non solo quelli.
La Bezzi si è ritrovata in prima linea suo malgrado. L'Archivio
bresciano è prestigioso, «21 chilometri lineari di documenti —
scandisce orgogliosa — la seconda raccolta di tutta la Lombardia
dopo Milano». Troppo prestigioso per precipitare al di sotto della
soglia di sopravvivenza. Un mese fa sono andati in tilt anche
l'ascensore e il montacarichi, La manutenzione, in quel caso,
spettava alla Provincia di Brescia, proprietaria dell'immobile.
I dipendenti dell'Archivio non ci hanno pensato su. E in attesa
che fossero riparati, hanno centellinato per un mese e mezzo i
documenti chiesti da studiosi e laureandi. «I professori chiedevano
quattro reperti? Noi gliene davamo uno solo», dice Giuseppe Di
Fraia, il rappresentante della Cgil nella Rsu. Una situazione
che ha alimentato qualche frizione con i vertici della Provincia:
«II nostro intervento non è stato tempestivo perché la direttrice
non ha mai individuato la ditta che avrebbe dovuto occuparsi dei
controlli periodici agli ascensori», replica l'addetta stampa
del presidente Alberto Cavalli. Ora la dottoressa Bezzi si è messa
alla ricerca di uno sponsor privato: «Qui c'è la memoria storica
di Brescia: dall'archivio Zanardelli al catasto napoleonico e
austriaco. Questa è una città molto ricca, possibile che non ci
sia nessuno disposto ad aiutarci?».
Mariano
Maugeri Il Sole 24 ore 26/6/2003 |
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Archivi,
il caso in parlamento |
24
giugno 2003 |
Archivio,
il caso in Parlamento m.te. II caso dell'Archivio di Stato
di Broscia, sull'orlo del collasso per mancanza di fondi,
sta per rimbalzare in Parlamento. A rilanciare il problema di
un istituto culturale essenziale che non ha più i soldi per pagare
bollette telefoniche, tassa dei rifiuti e manutenzioni essenziali,
è stato l'altro giorno Bresciaoggi. Dalle nostre colonne la direttrice,
la dottoressa Luisa Bezzi, aveva descritto la situazione kafkiana
in cui una funzionaria dello Stato è costretta a dibattersi. Ora
promette di sollevare nuovamente a livello romano questo problema
il deputato dei ds Franco Tolotti. Che, per la verità, insieme
a numerosi colleghi aveva già posto la questione nel marzo scorso
attraverso un'interrogazione a cui aveva dato risposta il sottosegretario
ai Beni culturali, Maurizio Pescante. Allora (era il 26 marzo)
Pescante in commissione aveva assicurato che i piani di spesa
sarebbero diventati «operativi in tempi brevissimi». Quanto ai
problemi posti dall'obbligo, per tutte le amministrazioni, di
approvvigionarsi per ogni fornitura e servizio presso la Consip
Spa, Pescante aveva dato conto della disponibilità del ministero
dell'Economia «ad un incontro per discutere le problematiche inerenti
il Sistema delle convenzioni». Ma siccome, a distanza di quasi
tre mesi, nulla è cambiato e anzi i problemi dell'archivio di
via Galilei (come di altri 140 istituti «gemelli» sparsi in Italia)
sono diventati esplosivi, Tolotti annuncia nuove mosse m Parlamento
e presso i ministeri. «Già in marzo - spiega il deputato - la
risposta del sottosegretario non aveva fatto che confermare la
gravita della situazione. I Piani di spesa a marzo non erano ancora
pronti, e le disponibilità poi assicurate ai vari archivi sono
state largamente inferiori alle necessità per garantire un servizio
adeguato all'utenza». Ma c'è un secondo problema, posto dalla
dottoressa Bezzi e dalla stessa interrogazione parlamentare di
marzo, su cui Tolotti si sofferma: è l'obbligo, a cui sono ormai
tenute tutte le amministrazioni periferiche dello Stato, di rivolgersi
alla Consip Spa nazionale per ogni tipo di fornitura (dai grandi
contratti alla semplice cancelleria). Una misura che sta letteralmente
«strangolando» numerosi fornitori periferici e che - secondo il
deputato diessino -non sta offrendo risultati confortanti sul
piano del risparmio. «Anche su questo problema - insiste il deputato
diessino - il sottosegretario Pescante s'era fatto portavoce di
una disponibilità generica, alla quale non è dato sapere se sia
seguito qualcosa di concreto. L'obbligo di ricorrere alla Consip
aggrava la già difficile situazione finanziaria degli istituti
archivistici: questo obbligo comporta tempi più lunghi e contratti
più onerosi, smascherando tra l'altro l'atteggiamento ottusamente
centralistico di questo governo». Contro la funzione ac-centratrice
e totalizzante di Consip Spa, peraltro, è ormai nato un vero e
proprio movimento d'opinione, con tanto di sito internet (www.controconsip.it).
Bresciaoggi
24/6/2003 |
|
L'Archivio
di Stato al collasso |
23
giugno 2003 |
In un
Paese in cui i poliziotti restano a piedi perché il ministero
non ha i soldi per far riparare le Volanti, ci si può aspettare
di tutto. E può apparire persino «normale» che un Archivio di
Stato rischi di vedersi pignorare computer e scrivanie per mancato
pagamento della tassa dei rifiuti e delle bollette telefoniche,
o si ritrovi senza i soldi per pagare la pulizia di uffici e servizi
igienici, la vigilanza, la manutenzione di ascensori e sistemi
anticendio. Esattamente questa è la «normalità» - un po' kafkiana
e un po' borbonica - in cui si dibatte da mesi l'Archivio di Stato
di via Galilei dove la mannaia di Tremonti ha ridotto di colpo
da 75mila a 21 mila gli euro per le spese d'ufficio. Che significano,
appunto, pulizia dei gabinetti o possibilità di spedire un fax.
A governare la navicella, pericolosamente sbattuta fra i tagli
delle finanze pubbliche, è la dottoressa Luisa Bezzi: archivista
approdata 23 anni fa in via Galilei, da 10 dirigente dell'istituto,
da 1 anno costretta a camminare sul filo del rasoio di una gestione
avventurosa. «La nostra situazione - spiega - rispecchia esattamente
, quel che succede in tutti gli altri 140 archivi di Stato sparsi
in Italia. Al punto che ci si chiede se i nostri istituti avranno
un futuro o saranno chiusi». In via Galilei lavorano oggi 14 persone
(la dottoressa Bezzi è l'unica archivista): all'appello, in una
pianta organica di 17 elementi, mancano due archivisti e un segretario.
La sede, di proprietà della Provincia, è stata inaugurata nel
1962 e ospita un numero incalcolabile di documenti, mappe e faldoni
distribuiti lungo 22 chilometri di scaffali e 7 piani. «La carenza
di personale, specie in Italia del Nord -sottolinea la direttrice
- dura da una quindicina d'anni. Ma quest'anno la situazione è
diventata esplosiva: il ministero ha tagliato del 60 per cento
gli accrediti per ogni capitolo di spesa». Fuori budget, così,
sono finite voci come la tassa sui rifiuti (6mila euro nel 2002),
le pulizie, la sorveglianza. La direttrice ha bussato al ministero
di competenza, quello dei Beni culturali: «Mi hanno risposto che
non c'è niente da fare, hanno tagliato anche da loro» . Nel denunciare
«il tracollo che c'è stato negli ultimi anni», la direttrice sottolinea
un'aggravante: «Per tutti i servizi, da quest'anno, siamo tenuti
a rivolgerci a un global service nazionale, che però ha un problema:
prezzi mediamente superiori rispetto a quelli offerti dalle società
locali». Le economie, ormai, sono all'osso: «Non ho i soldi per
pagare le bollette: i telefoni li usiamo solo per ricevere chiamate.
Ho disdetto persino la manutenzione del centralino, vecchissimo.
Spero non si rompa». Oggi l'apertura della sala-studio è garantita
dal lunedì al venerdì, dalle 8,05 alle 15,05. Ma alle spalle l'Archivio
di Stato bresciano ha due mesi di chiusura: «S'era scoperto -
spiega la direttrice - che l'ascensore e il montacarichi aveyano
bisogno della sostituzione di alcuni pezzi. L'ascensore è ripartito
il 27 maggio, e da allora la sala studio è riaperta. Il montacarichi
dovrebbe essere pronto questa settimana: non funzionando quello,
che raggiunge i depositi dal 2° al 5° piano, abbiamo limitato
la consegna agli utenti di un pezzo al giorno, con l'obbligo di
prenotazione per i giorni successivi». Un bel disagio per chi,
spesso, è costretto a lavorare sulla «quantità» dei documenti
scartabellati. Per sopperire alle carenze, la direttrice si sobbarca
spese in proprio: «Uso sempre il mio telefonino per esigenze di
servizio. L'anno scorso, con la mia auto, ho fatto mille chilometri,
non rimborsati, per salvare e trasportare in sede l'archivio delle
preture di Chiari e Orzinuovi: un gioiello». L'Archivio è un servizio
essenziale per una provincia come la nostra, tant'è che il ministero
ha varato un progetto per ricavare la nuova sede nell'ex caserma
Ottayiani. Si tratta di un investimento da alcuni milioni di euro,
provenienti dalla quota lotto, il rischio è che al traguardo della
nuova sede, fra 5-6 anni, il servizio attuale arrivi sfiancato.
O chiuso. Luisa Bezzi nel frattempo ha bussato a tutte le porte,
private e pubbliche, «il ministero ci incoraggia a trovare sponsor,
ma non è facile. Ho esposto la situazione a prefetto, sindaco
e presidente della Provincia, n prefetto s'è già mosso, il sindaco
mi ha promesso di interessarsi, il presidente della Provincia
non mi ha ancora risposto». E nel frattempo? «Cosa vuole - dice
Luisa Bezzi esausta - ogni giorno si lavora di fantasia, per tirare
avanti.
Massimo
Tedeschi Brescia Oggi 23/6/2003 |
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Drastici
tagli alle spese |
31
marzo 2003 |
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Trasmettiamo
il testo del documento S.O.S. PER GLI ARCHIVI, che i Direttori degli
Archivi di Stato di Firenze, Lucca, Siena, Pisa, Massa, Prato, Pistoia,
Grosseto, Livorno, Arezzo, Milano, Mantova, Torino, i Soprintendenti
archivistici di Toscana, Piemonte, Puglia, Lazio, e l'Associazione
Nazionale Archivistica Italiana, hanno inviato all'On. Bono, Sottosegretario
di Stato del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la
richiesta di un incontro sulla drammatica situazione, determinata
dai drastici tagli alle spese, nella quale si trovano gli istituti
archivistici dipendenti dal Ministero per i BB. e le AA. CC., che
potrebbe portare, fin dalle prossime settimane, alla chiusura degli
istituti e alla interruzione totale dell'attività di conservazione,di
vigilanza e di tutela del patrimonio archivistico nazionale, pubblico
e privato. |
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Su
questa situazione, ormai probabilmente nota a tutti gli iscritti
alla lista archivi 23, si terrà in Toscana una conferenza stampa,
per il 9 aprile, alle ore 12, presso l'Archivio di Stato
di Firenze, viale Giovine Italia n. 6 (con giornalisti della stampa
e della televisione, docenti universitari, l'ANAI, esponenti politici
e sindacali),ed una giornata di "oscuramento degli Archivi e
delle Soprintendenze"(spengendo le luci dalle ore 10 alle 12),
con l'intento di informare gli utenti del grave rischio di paralisi
e di chiusura degli Istituti archivistici. Tutti coloro che
volessero aderire al documento possono inviare mail agli indirizzi
dell'Archivio di Stato di Firenze (asfi@archiviodistato.firenze.it)
e della Soprintendenza Archivistica per la Toscana (archivistica.firenze@tin.it).
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Testo
dell'appello |
"Drastici
tagli alle spese hanno colpito in tutta Italia gli istituti archivistici
- Archivi di Stato e Soprintendenze archivistiche – dipendenti
dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Le riduzioni,
che interessano soprattutto i capitoli di funzionamento,oscillano
tra il 40 e il 60 % del fabbisogno, determinato dagli effettivi
consumi di energia elettrica, gas metano, acqua, pulizia locali,
tassa di nettezza urbana, manutenzione ordinaria degli impianti.
Esse porteranno entro pochi mesi alla totale paralisi di tutte
le attività istituzionali,ivi compresa l'erogazione dei servizi
al pubblico. Sono in pericolo, quindi, le funzioni di tutela,
di conservazione e di comunicazione della memoria storica, pubblica
e privata, nelle sue straordinarie e molteplici articolazioni:
dagli archivi delle persone,delle famiglie, delle comunità locali,
fino a quelli delle istituzioni pubbliche e statali. Questa memoria,
che costituisce il fondamento dell'identità nazionale, copre un
arco cronologico ultramillenario che va, senza interruzioni, dal
Medioevo ai giorni nostri e per essa il nostro Paese è famoso
e ammirato nel mondo. Una vasta platea di utenti italiani e stranieri
studenti, ricercatori, professionisti, storici, cittadini trova
negli istituti archivistici indispensabili strumenti di lavoro
e di conoscenza. Gli archivi, d' altra parte, sono essenziali
anche per assicurare la conoscenza storica e quindi la tutela
di tutti gli altri beni culturali, da quelli archeologici, a quelli
librari, architettonici e artistici. La sorte di questo patrimonio
documentario di inestimabile valore è ora in pericolo!!I responsabili
degli Archivi di Stato e delle Soprintendenze Archivistiche,certi
che si possa e si debba assicurare la continuità delle fondamentali
funzioni di conservazione e di tutela svolte da questi Istituti,
denunciano la gravità della situazione al Ministro e ai competenti
organi del Ministero, affinché vi pongano rapidamente rimedio;
diversamente, la chiusura degli istituti archivistici sarà di
fatto inevitabile."
31
marzo 2003 STEFANO VITALI, Archivio di Stato di Firenze, Viale
Giovine Italia, 650100 FIRENZE tel.: +39 05526320249 fax: +39
0552341159 e-mail: s_vitali@archiviodistato.firenze.it
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